L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Parsifal a Sofia

Notturno Parsifal

 di Giulia Vannoni

Messo in scena per la prima volta in Bulgaria l’estremo capolavoro wagneriano al Teatro dell’Opera di Sofia.

SOFIA, 4 luglio 2017 – È stato un evento di rilevanza nazionale la prima messa in scena, al Teatro dell’Opera di Sofia, del Parsifal: titolo mai rappresentato in Bulgaria. D’altronde, il “dramma mistico” oggetto di devozione incondizionata da parte di tanti ferventi wagneriani e, invece, di aspra critica per coloro che non ne condividono i risvolti di trascendenza religiosa (in primis Nietzsche, che dopo la prima del 1882 ruppe l’amicizia con il compositore) è un’opera che il pubblico degli appassionati deve conoscere. Necessariamente. Allestirla, però, è impresa tra le più impegnative e carica d’incognite: il teatro balcanico ha dimostrato di avere tutte le carte in regola per superare la prova, tanto più che la Bulgaria vanta un ampio numero di talenti vocali – molti dei quali, storicamente, divenute stelle di prima grandezza – da cui poter attingere.

Sul podio dell’estremo capolavoro wagneriano è stato invece chiamato un direttore tedesco, che possiede una notevole familiarità con questo repertorio. Constantin Trinks ha guidato la solida e compatta orchestra del teatro con encomiabile precisione, scandendo i temi in modo nitido, tale da ottenere sonorità trasparenti soprattutto nelle parti solo strumentali. Gli strumentisti lo hanno assecondato con rigore e impeccabile correttezza, anche se, per mantenere ininterrotta la tensione sottesa nel Parsifal, sarebbero forse servite sonorità più idiomatiche.

In palcoscenico si è ascoltato un buon cast. Su tutti emergeva il Gurnemanz di Angel Hristov, dall’emissione mai forzata, efficace nel disegnare la figura del vecchio saggio concepito da Wagner come una sorta di narratore oratoriale: del resto su di lui, più che sul protagonista, è incardinata l’intera opera (il lunghissimo primo atto si regge quasi esclusivamente sul suo canto). Radostina Nikolaeva ha affrontato l’impervio ruolo di Kundry, che proprio in virtù della sua doppia natura – pura e peccatrice – richiede una voce anfibia (un ostacolo che Karajan aggirò utilizzando due diverse cantanti nell’arco della stessa recita), trovandosi più a suo agio nella dimensione contraltile che nelle impennate verso il registro superiore. Convincente anche Atanas Mladenov, baritono di tinta chiara, che plasma un Amfortas capace di comunicare il suo umanissimo fallimento. Petar Buchkov ha evidenziato solidi mezzi da basso nel piccolo ruolo di Titurel. Ancorato invece a una vocalità un po’ stentorea, retaggio di un modo più caricato di concepire il canto wagneriano, il baritono Biser Georgiev interprete del mago Klingsor, anima nera del dramma. Protagonista nominale, infine, Kostadin Andreev: ha disegnato un Parsifal efficace nelle sue disarmanti ammissioni di non sapere nulla, ma purtroppo i problemi d’intonazione (emersi soprattutto nel duetto con Kundry) gli hanno impedito di raggiungere appieno la dimensione trascendente del “puro folle”.

L’efficace spettacolo di Plamen Kartaloff vive soprattutto di atmosfere notturne. Grazie alla scenografia semplice ed essenziale di Numen e Ivana Jonke, e all’apporto dei suggestivi costumi di Stanka Vauda, delinea nel primo atto una sorta di foresta mentale – servendosi di sottili teli bianchi calati dall’alto – che fanno convergere l’attenzione su alcuni dettagli. Rimane così impressa in modo indelebile l’immagine di Kundry (sempre a terra per l’intero atto) avvolta in un abito maculato e raggomitolata quasi come un animale, o quella di Anfortas che si muove su una carrozzina per handicappati. Nel secondo atto i complessi riferimenti sessuali non si limitano, in modo fin troppo ovvio, al solo giardino delle delizie abitato dalle fanciulle-fiore, ma assume notevole rilevanza la simbologia legata a quella lancia che l’evirato Klingsor è impotente di lanciare contro Parsifal. La celebrazione finale del trionfo di Parsifal – dopo tanta oscurità – avviene con un suggestivo e geometrico gioco di luci (firmate da Andrej Hajdinjak) che illuminano i cavalieri, provati da tante peripezie, in modo molto discreto.

Un ruolo visuale assai significativo è affidato alle masse corali. I bianchi custodi del Graal, incappucciati e disposti plasticamente secondo precisi schemi organizzativi, assumono una notevole rilevanza scenica: un giusto riconoscimento per le eccellenti qualità musicali di questo magnifico coro preparato da Violeta Dimitrova.

foto Svetoslav Nikolov


 

 

 
 
 

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