carmen, napoli

Le luci di Carmen

 di Luigi Raso

Permangono le perplessità sulla messa in scena firmata due anni fa da Daniele Finzi Pasca, mentre entusiasma la lettura del neo direttore musicale  Juraj Valčuha.

NAPOLI, 12 luglio 2017 - Il destino di Carmen si incrocia con Napoli sin dal 15 novembre 1879, quando il Teatro Bellini ne decretò il primo e convinto successo italiano; oggi il San Carlo Opera Festival 2017 (stagione estiva di lirica e balletto che proseguirà con Il trovatore e i balletti Soirée Roland Petit- Pink Floyd Ballet nel mese di luglio; Zorba il Greco, a settembre) si è aperto con il capolavoro di Bizet nello stesso allestimento che inaugurò la stagione lirica e di balletto 2015-2016: una produzione, con la regia firmata da Daniele Finzi Pasca, che al suo primo apparire non mancò di suscitare perplessità.

Questa ripresa senza alcuna sostanziale modifica registica continua a lasciare qualche dubbio: in un impianto scenico minimalista (firmato da Hugo Gargiulo), delimitato orizzontalmente da linee luminose, la presenza costante e ridondante di tubi (eccessivamente) fluorescenti, che fungono ora da corde, ora da barriere protettive, da catene che avvinghiano i personaggi, contribuisce a inondare di luci, a volte senza alcuna coerenza drammaturgica, lo spettacolo e stupisce che una delle scene più intense e cupe dell’opera, quella in cui Carmen apprende dalle carte l'imminente morte, venga illuminata, nell'akmé drammatica, da ben tre di questi tubi. E così, in questo sfavillìo, le luminarie dell’impianto scenico degli atti I e IV, pur declinate nello stile moresco andaluso, finiscono per evocare più la napoletanissima e ormai abolita Festa di Piedigrotta che la “Feria de Sevilla”.

Una Carmen immersa, quindi, in un artefatto e irrealistico sfolgorar di lampadine, fari, luci al neon, che, alla lunga, affaticano la vista dello spettatore, anche senza considera che una luminosità così accentuata ed esibita (ad eccezione del terzo atto) richiederebbe il vivace movimento delle masse artistiche sul palco. Purtroppo ciò non avviene, limitandosi il coro e le comparse a eseguire pochi e stereotipati movimenti scenici. Anzi, a eccezione delle due teste taurine, con tanto di affilatissime corna, mosse nel primo atto a mo’ di carriole e della suggestiva ed elegante coreografica di danzatrici nell’osteria di Lillas Pastia che ricordano vagamente la Nike di Samotracia, lo spettacolo non si impone per trovate originali. L’immobilità registica e scenica è però “riempita” dai bei costumi di Giovanna Buzzi, grazie ai quali lo spettatore viene correttamente indirizzato geograficamente verso Sevilla:  magnifico il Traje de Luces indossato dal torero Escamillo, come, nella loro discreta eleganza, gli abiti degli altri protagonisti e dei coristi.

Se l’aspetto visivo di questa ripresa del capolavoro di Bizet resta, nel bene e nel male, invariato rispetto al suo debutto, muta - e in meglio - quello musicale.

Nel dicembre 2015 la direzione era affidata a un rinunciatario Zubin Mehta, il quale aveva eccessivamente prosciugato i rivoli di esplosione vitalistica della partitura: nella ripresa di oggi la visione dell’opera cambia e il direttore musicale del San Carlo, Juraj Valčuha, sin dalla prima battuta del preludio conferisce al dramma una narrazione serrata, evidenziando, pur senza esasperazione, gli aspetti dionisiaci che guideranno la protagonista al tragico finale.

Ben bilanciando i volumi sonori, il maestro slovacco riesce a tenere coesi tutti gli elementi fra buca e palco senza sbandamenti e sbavature; il gesto è misurato, chiaro e incisivo, tanto parco nel movimento quanto efficace nel cavare dall’orchestra colori e ritmi rutilanti, ma anche squarci lirici dalla tersa luce adamantina e da genuino impeto festaiolo. Una lettura dalla agogica misurata che indaga ed evidenzia senza eccessi e la tavolozza della partitura.

La qualità, la professionalità e l’amalgama sonoro della compagine orchestrale sancarliana, le cui sezioni sfoggiano raffinatezza luminosità e precisone, consentono a Valčuha, dopo il successo di Elektra dello scorso mese di aprile (leggi) di sentir realizzata dai complessi del “suo” teatro ogni indicazione.

Precisione e compattezza, volume e bellezza sonora connotano la prova del coro diretto da Marco Faelli; disciplinato, dal timbro luminoso, gioioso e scenicamente ineccepibile quello di voci bianche affidato alle cure di Stefania Rinaldi.

Clementine Margaine veste i panni della protagonista con movimenti sensuali, voce ampia e dal caldo colore brunito, proiettata, linea vocale ben controllata, mentre ciò che a tratti sembra latitare è quella sottile, luciferina seduzione che dovrebbe promanare da ogni suono e gesto della sigaraia andalusa. Probabilmente l’esperienza e la frequentazione del ruolo non potranno che contribuire a raffinare la fisionomia psicologica del personaggio da parte del mezzosoprano francese.

Purtroppo la vocalità di Stefano Secco non appare quella richiesta per il ruolo di Don Josè, forse troppo spinto per i propri mezzi. Così la voce, soprattutto nel registro acuto, è frequentemente sforzata e il fraseggio, non vario e sfumato come si vorrebbe, ne risente.

Erwin Schrott veste gli abiti - come detto, bellissimi - del torero Escamillo: sfoggia voce potente, gravi timbrati e profondi, e acuti squillanti, ma la linea di canto e la visione del ruolo sono abbondantemente sopra le righe. L’aria del secondo atto è affrontata con spavalderia vocale e scenica, ma il basso-baritono uruguaiano è costretto a prendere fiato frequentemente, rinunciando troppo spesso a legare i suoni.

La Micaëla di Jessica Nuccio si nota per il bel colore timbrico, per la linea di canto pulita, per la corretta emissione, tuttavia la prova del soprano palermitano appare connotata da un’interpretazione, vocale e scenica, troppo compassata.

Degne di lode le parti secondarie, tutte ben innestate nell’ordito di un’opera che assegna alle scene d’assieme (si pensi al quintetto del II atto "Nous avons en tête une affaire") un ruolo fondamentale per lo sviluppo musicale e drammaturgico. Applaudite Giuseppina Bridelli e Sandra Pastrana, rispettivamente Mercédès e Frasquita, così come Roberto Accurso e Renzo Ran quali Moralès e Zuniga; bene il Dancairo di Fabio Previati e il Remendado di Carlo Bosi.

Al termine della serata il numeroso pubblico tributa un convinto successo per tutti.