L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Il potere dell'eros

 di Andrea R. G. Pedrotti

Grande, meritato successo a Monaco di Baviera per La favorite donizettiana con un cast d'eccezione (protagonisti Garanča, Polenzani e Kwiecień) e un allestimento, come sempre, curato nel dettaglio per far riflettere, libero da ogni banalità. 

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MONACO di BAVIERA, 29 luglio 2017 - Il pubblico della Bayerische Staatsoper non poteva che salutare con un trionfo La favorite andata in scena nella cornice del Festival che, come ogni anno, ripropone le Premieren della stagione che va a concludersi, con l’aggiunta di produzioni conosciute, concerti da camera, sinfonici, etc.

Trionfo non scontato, ma facilmente prevedibile, considerata una compagnia di canto che è arduo oggi immaginare migliore e la capacità della dirigenza locale di proporre sempre e comunque spettacoli ponderati, che abbiano il pregio di far riflettere chi, ovviamente, abbia la volontà di non restare imprigionato in una propria latebra di dogmi integralisti e, sovente, errati.

L'allestimento è piuttosto semplice nella struttura: sono presenti alcuni moduli, atti a comporre i diversi ambienti e a mutare di significato, a seconda delle necessità, grazie a un sapiente gioco di luci, di trasparenze, all’utilizzo dei costumi. Poche sedie disposte ordinatamente in proscenio possono tranquillamente rappresentare gli scranni di una chiesa, come una qualsiasi sala.

Il cast vocale era guidato dalla Léonor de Guzman di Elīna Garanča, interprete ideale dell’opera donizettiana: fiera elegante e seducente, ella è la sensualità stessa che si aggira sul palcoscenico, palesando una femminilità dirompente, che la rende perfetta al ruolo. A questo si assomma una bellezza del timbro, di una morbidezza e di una rotondità insinuantemente erotica. Così deve essere, perché La favorite è, in effetti opera erotica. È proprio lei, con il suo velluto vocale e il suo fraseggio a meritare l’applauso più fragoroso della serata dopo l’esecuzione dell’aria del terzo atto “O mon Fernand!” Scenicamente la sua prova non è da meno, grazie anche alle idee registiche che la mostrano prima come elegante signora borghese, sposa in abiti bruniti, poiché lo sposalizio che la stava per legare a Fernand altro non era che finzione conformista della strategia politica di Alphonse. Parimenti a lei, sempre nel terzo atto, notiamo come tutti i significati delle tinte degli abiti siano invertiti e anche il coro delle monache, anziché essere in abito bianco è in abito rosso, il colore del peccato femminile, della perdita della verginità. Nel quarto atto troviamo addirittura due Léonor, l’una morente sul palco in vesti virili, l’altra come statua del tempio cristiano, vestita esattamente come alle tristi nozze, che diviene immagine della Maria Maddalena, supplice di perdono per la sua esistenza dissoluta, innanzi al Cristo crocifisso.

Accanto a Elīna Garanča troviamo, nel ruolo di Fernand, uno strepitoso Matthew Polenzani; dominatore del palcoscenico e della scrittura musicale per tutta l’opera, pone in luce uno squillo imperioso, equilibrio nei registri, ricchezza di armonici e una capacità fuori dal comune di gestire il fiato e le smorzature. Tuttavia non sono state queste le sue armi migliori, ma bensì il fraseggio e l’interpretazione, che gli valgono applausi convinti sin dal suo apparire in scena, quindi nella sua splendida lettura del duetto “Mon idole! Dieu t’envoie”, nel pronunciare “La maîtresse du roi”, dopo aver scoperto che egli era la favorita di Alphonse, e nella celeberrima aria “Ange si pur”.

Sui medesimi livelli dei colleghi l’Alphonse di Mariusz Kwiecień, interprete di assoluto livello sia vocalmente, sia scenicamente. La voce è penetrante, lo squillo notevole e il fraseggio curato e passionale. È, poi, grazie alla sua abilità d’attore che i balletti del secondo atto possono essergli affidati, coadiuvato da un sapiente gioco di luci: pare, in questo momento, che Alphonse e Léonor siano intenti, rivolti verso il pubblico, a guardare un film d’azione assisi sulle sedie che rappresentavano gli unici elementi scenici. Qui si palesa l’arroganza del monarca che esercita il proprio dominio anche sulla dignità della donna, alternando l’eccitazione per ciò a cui stava assistendo a un’eccitazione sessuale compulsiva che lo porta fin a piegare il capo della sua favorita verso il proprio grembo, forzandole una fellatio (ovviamente immaginabile, ma non visibile al pubblico), poi ride con lei di un momento apparentemente leggero. Noi vediamo le sue reazioni, ma non da cosa siano provocate e possiamo solo intuirlo e interpretare i movimenti e la mimica magistrali dal baritono polacco. Emblematico come tanta prepotente e violenta narcisitica compulsione nasconda una profonda debolezza del re che (sempre stimolato da immagini a noi ignote) si spaventa e corre fra le braccia di Léonor alla ricerca di conforto. Questo fa ben comprendere lo sviluppo drammaturgico che si manifesta grazie alle incertezze della psiche di un sovrano che si era prima lagnato nello scoprire l’amore fra Fernand e Léonor, per poi decidere di farli unire in matrimonio e, di fatto, sacrificarla per convenienza politica.

Bene anche gli altri protagonisti Balthazar (Mika Kares), Don Gaspard (Joshua Owen Mills) e ottima la Inès di Elsa Benoit.

Eccezionale, come sempre, il coro della Bayerische Staatsoper, diretto da Sören Eckhoff, capace di distinguersi in tutti i registri e in tutti i suoi elementi non solo per le eccellenti qualità musicali, ma anche per un’abilità scenica fuori dal comune.

Di ottimo livello anche la concertazione di Karel Mark Chichon, che opta per favorire la componente drammatica rispetto a quella elegiaca della partitura donizettiana, in bel connubio con l’idea registica. Notevole l'intensità nelle strette dei pezzi d’assieme e, in particolare, in un travolgente finale terzo.

La parte visiva era curata per la regia da Amélie Niermeyer, mentre le scene sono di Alexander Müller-Elmau, i costumi di Kirsten Dephoff, la coreografia di Ramses Sigl e la drammaturgia da Rainer Karlitschek.

foto © Wilfried Hösl


 

 

 
 
 

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