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Tosca, la donna

 di Silvia Campana

Mantiene intatto il suo fascino a undici anni dal debutto la Tosca pensata da Hugo de Ana per l'Arena. Diretti da Antonino Fogliani, si fanno applaudire Susanna Branchini, Carlo Ventre, Ambrogio Maestri.

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VERONA, 5 agosto 2017 - Mantiene inalterato il suo messaggio l'allestimento di Tosca che Hugo de Ana realizzó per il palcoscenico areniano nell'estate 2006. Infatti, l'imponente struttura ferrosa (il cui interno svelerà mano mano diversi tipi di prigione emotiva, dai simulacri di una religiosità irrigidita all'interno della cella di Cavaradossi) e l'altrettanto dominante testa dell'arcangelo Michele ben concorrono a trasmettere l'idea di uno spazio chiuso in cui tutto si svolge seguendo regole ben definite e in cui il potere politico e quello religioso giocano la stessa sporca partita. In questo ambito, dunque, il fumo dei cannoni può confondersi con i vapori dell'incenso, il suicidio di Tosca diventare un simbolo e l'abbattimento e la successiva frammentazione del "Noli me tangere" di Tiziano porta d'accesso al potere papalino. Lo spettacolo risulta, pertanto, ancor attuale, non sembra sentire i segni del tempo e, in un momento in cui tutto pare poter invecchiare già il giorno dopo la sua invenzione, è già un grande risultato.

La Tosca di Susanna Branchini non è la diva del belcanto e del palcoscenico quale spesso vediamo tratteggiata da molte artiste (da Sarah Bernardt, prima interprete e musa ispiratrice del testo di Sardou), ma si pone su di un diverso piano teatrale usando un linguaggio proprio: più donna che diva, vive dominata da quelle passioni e da quegli impulsi che ne determinano gli umanissimi errori. Diretta e priva di quella riflessione costruttiva che la porterebbe a non rimuginare e ad agire con maggior oculatezza ("agil qual leopardo ti avvinghiasti all'amante"), Tosca è semplicemente e visceralmente innamorata, dunque gelosa, impulsiva, remissiva e avventata. Così lei vive l'amore e le qualità di Susanna Branchini concorrono a delinearne le insicurezze così come la cieca determinazione: la vocalità è morbida e rotonda, ben sostenuta e dominata con un'attenta cura della parola e del fraseggio; l'artista tratteggia una Tosca che può non risultare statuaria, ma che ci convince parlandoci con verità attraverso il suo " Vissi d'arte", più intima preghiera che esercizio di stile, e il suo duetto con Mario nel III atto, appassionato e febbrile.

Ugualmente misurato e professionalmente corretto risulta il tenore Carlo Ventre nel ruolo di Cavaradossi, che combina il timbro rotondo e pieno e la sicura esperienza di un artista che non perde l'appuntamento con il pubblico nei momenti clou senza che mai venga a mancare un'attenzione raffinata per la parola e il verso.

La tonante vocalità di Ambrogio Maestri definisce uno Scarpia vilain tanto nel timbro quanto nell'accento, non trascurando altresì, specie nel II atto, intensità drammatica e carica emotiva sempre in funzione del dramma.

Completano il cast l'ottimo Romano dal Zovo (Angelotti), Nicolò Ceriani (Sagrestano), Antonello Ceron (Spoletta), Marco Camastra (Sciarrone), Omar Kamata (Carceriere) e Stella Capelli (pastorello).

Il maestro Antonino Fogliani dirige sobriamente l'orchestra della Fondazione Arena creando una buona coesione tra buca e palcoscenico, così come sostanzialmente bene si portano il coro della Fondazione diretto da Vito Lombardi e il Coro di voci bianche A.d'A.MUS. diretto dal M. Marco Tonini.

Arena abbastanza gremita per questa prima e applausi partecipati e convinti per tutti gli interpreti e il direttore.

foto Ennevi