L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Passaggio a Reims

 di Roberta Pedrotti

La prima edizione del Viaggio a Reims dei giovani al Rof dopo la scomparsa del suo storico mentore Alberto Zedda riscuote un buon successo, felice auspicio per un rinnovamento nella continuità.

PESARO, 14 agosto 2017 - Per la prima volta l'Accademia Rossiniana si è svolta senza la sua anima storica e Il viaggio a Reims dei giovani è andato in scena senza il suo mentore. Di Alberto Zedda resta il nome, nella doverosa intitolazione ufficiale, mentre il suo testimone è raccolto da chi gli è succeduto anche alla guida artistica del Rof, Ernesto Palacio. È, questa, un'edizione di passaggio che inaugura una nuova era dell'Accademia e del suo Viaggio a Reims, annunciato dal prossimo anno in una nuova messa in scena che dovrebbe sostituire quella di Emilio Sagi in servizio dal 2001.

Non v'era da dubitarne, vista l'esperienza del cantante e il fiuto dell'agente nelle sue vite professionali passate, ma Ernesto Palacio ha ribadito tutte le sue virtù di talent scout e di conoscitore del teatro d'opera con la selezione di voci e bacchetta per l'appuntamento di spicco del “Festival giovane”. Infatti, sul podio della Filarmonica Gioachino Rossini, il ventiquattrenne Michele Spotti dimostra gesto chiaro e autorevole, fluidità di tempi e dinamiche, bel piglio e buon rapporto con il palcoscenico, nonché la giusta dose di sangue freddo quando un inghippo tecnico ritarda l'attacco dell'arpa (collocata nel palco reale) per il primo assolo di Corinna.

L'entusiasmo che trasmettono le compagnie di canto in questo ormai tradizionale Viaggio a Reims è sempre contagioso, a tratti commuovente, ma è facile immaginare quanto sia difficile, quanta tensione comporti debuttare al Rof, con gli occhi puntati per individuare le possibili stelle di domani, alle undici del mattino, incastonati fra le opere principali con voci anche illustri, di fronte a un pubblico rossiniano in cui si aggirano numerosi critici, agenti, direttori artistici. Ogni anno, puntualmente, si ripetono peana e lamentazioni, per lo più sproporzionati: conviene guardare a questi ragazzi con interesse e simpatia ben sapendo che i fuoriclasse (e dall'Accademia ne sono emersi, eccome, né sono mancate meteore o voci affermatesi sulla distanza) non possono nascere a schiere ogni anno, ma che questo può essere un punto di partenza per chi saprà costruire con intelligenza e costanza – ma anche un pizzico di fortuna, inutile negarlo – la propria carriera. Oggi, tutti dimostrano di avere alle spalle una professionalità già acquisita, rammentando la natura primaria dell'Accademia Rossiniana come luogo di alta specializzazione: questo può essere un trampolino di lancio, ma per chi è abbastanza forte e preparato per spiccare il volo. Si tratta di giovani, sì, ma di giovani ben instradati sul loro cammino.

Ciò detto, il livello quest'anno è parso decisamente buono e omogeneo, e non possiamo non ammirare, per esempio, la capacità di Roberto Lorenzi di portare a termine con disinvoltura l'insidiosa aria di Don Profondo, dimostrando nell'arco di tutta l'opera canto saldo e incisiva teatralità per un ritratto dell'antiquario romano insolitamente sensibile al fascino femminile, compagnone, ma con un pizzico di tenera timidezza. Pregevole anche la grana della voce di Daniele Antonangeli, un Lord Sidney di timbro nobile e notevoli potenzialità una volta ben assestato il repertorio che, da baritonale al suo esordio spoletino (ventiduenne, nel 2011), pare stia ora virando verso il registro più grave. Voce non scura, ma ben timbrata, ha il simpatico Trombonok di Michael Borth, un ragazzone dalla presenza sciolta e accattivate che sa caratterizzare a dovere il bizzarro musicofilo tedesco. Azzeccatissimo anche il Belfiore di Alasdair Kent, fresco e brillante, così come debitamete spavaldo e ben centrato in acuto risulta il Libenskof di Ruzil Gatin. Efficaci, nondimeno, Gurgen Baveyan (Don Alvaro) ed Elcin Huseynov (Don Prudenzio); Oscar Oré (Luigino), Emanuel Faraldo (Gelsomino e Zefirino) e Alexandr Utkin (Antonio) completano il cast maschile.

Fra le donne la più esperta, se non altro per aver già cantato e inciso Il viaggio a Reims a Wildbad [leggi la recensione], è, pur nella gioventù, Sofia Mchedlishvili, Folleville dalla voce morbida e dai sovracuti facili e lucenti. Marigona Qerkezi mostra pure virtù interessanti e una bella propensione ai filati: peccato che a inizio recita, forse per l'emozione o l'orario mattutino, il fiato risultasse un po' troppo alto, stabilizzandosi con un migliore appoggio nel prosieguo dello spettacolo. Alla Corinna di Fracesca Tassinari siamo grati, poi, per il bel gioco di colori in un Improvviso dapprima etereo e astratto, quindi via via più accorato, nonché per la malizia con cui conduce il gioco di seduzione con Belfiore: chissà che, di fronte all'estenuante timidezza della corte di Sidney, non abbia pensato di svagarsi con l'intrapredente fracesino, o che semplicemente la poetessa romana non sia abbastanza emancipata da sbeffeggiare il dongiovanni sul suo stesso terreno! Valeria Girardello, Melibea, vanta una bella musicalità e un canto elegante e omogeneo. Martiniana Antoine è Maddalena, Giorgia Paci Modestina, Noluvuyiso Mpofu Delia, tutte scenicamente ben definite e a fuoco anche negli interventi corali (da sempre affidati ai solisti, che si alternano in massima parte nelle due recite anche fra ruoli maggiori e minori).

Alla fine, ancora una volta, i bizzarri rappresentanti europei convenuti al Giglio d'Oro inneggiano a Carlo X, i bimbi del laboratorio Il viaggetto a Reims entrano in sala sgranando gli occhi affascinanti in un compìto e tenerissimo corteo regale, un ragazzino magrolino coronato, in testa, stringe mani in platea "Piacere, sono il re di Francia", poi, sul palco, ignorato dai festanti, addenta un panino e apre una lattina. E, sì, ancora una volta un po' ci si commuove.

 

foto Amati Bacciardi


 

 

 
 
 

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