John Osborn, Fra Diavolo

Avventure a Terracina

 di Stefano Ceccarelli

Il Teatro dell’Opera di Roma offre l’ultima sua nuova produzione per la stagione 2016/7: un rarissimo Fra Diavolo di Daniel Auber in coproduzione con il Teatro Massimo di Palermo. La particolarissima video-regia di Giorgio Barberi Corsetti e della factory Officine K, con scene prodotto con stampante 3D, non stupisce né affascina particolarmente; la direzione di Rory Macdonald sovente appesantisce ritmi e agogica, lasciando però cantare liberamente le voci, tra le quali spiccano indiscutibilmente Sonia Ganassi e John Osborn.

ROMA, 17 ottobre 2017 – Non capita tutti i giorni di assistere a un’opera come Fra Diavolo di Daniel Auber, che ebbe una immediata fama dopo la sua première nel 1830, fama che, però, declinò sostanzialmente con la prima metà del XX sec: al Costanzi – si pensi – fu messa in scena una sola volta, nel 1884. È, dunque, un’occasione più unica che rara assistere a un’opera che si è così gentilmente prestata a avere una fortuna, forse, più cinematografica che prettamente operistica: The devil’s brother (gustoso calembour) ne è ottima testimonianza, pellicola che nel 1933 vide nei ruoli di Giacomo e Beppo (le spalle di Fra Diavolo) nientemeno che Stanlio e Ollio.

Ma le novità sono la base di questa produzione: il regista Giorgio Barberio Corsetti e la factory Officine K ha, infatti, creato una scenografia sfruttando interamente le recentissime tecnologie delle stampanti 3D e caratterizzando momenti e ambienti del libretto di Scribe con un vasto uso di proiezioni, volte a descrivere pensieri, sensazioni o a caricare comicamente alcune scene. L’ambientazione, l’esotica Terracina (esotica, chiaramente, per uno spettatore transalpino dell’800), è trasportata in una località italiana di mare degli anni ’50, col suo stuolo onnipresente di carabinieri. Questa mise en scène, che si preannuncia assai interessante sulla carta, delude complessivamente le aspettative. Le scenografie, soprattutto quelle del I atto (la locanda), sono approssimative, mal rifinite (forse sarebbe meglio, per il futuro, alternare pezzi stampati e la più tradizionale falegnameria). Il tableau più intrigante è, a mio avviso, l’interno della locanda dell’oste Matteo, il II atto: la possibilità di rappresentare azioni in più ambienti contemporaneamente vivacizza non poco l’azione, ma sarà purtroppo poco sfruttata. Nel III atto tornano, grossomodo, le stasi del I: intervallate, ancor peggio, da improvvisati balli di gruppo. Insomma, il lato debole di questa produzione è, per molti aspetti, proprio la regia: manca quel frizzo essenziale, quel brio nella prossemica dei personaggi che possa far scattare la risata. Probabilmente era una serata no, in generale: ma il pubblico glacialmente assisteva, quasi impassibile, quasi fossimo alla quarta ora di un’opera wagneriana. Le video-proiezioni certo incuriosiscono, allietano, ma non sono sufficienti. Pochi i momenti di regia veramente apprezzabili e curati, tutti sostanzialmente nel II quadro: la gustosa svestizione di Zerlina che dà vita a una tradizionalissima Lauscherszene (‘una scena in cui si origlia’), dove Fra Diavolo, Beppo e Giacomo la spiano a turno, deridendola e parodiandola ma con un certo qual maschio compiacimento; le tresche fugaci delle cameriere con i bei marinai terracinesi, che fanno da contraltare alle scenette di stantia vita borghese fra Lord Rocburg e Lady Pamela. Qualche cantante certamente si distingue per presenza scenica: Osborn nel ruolo del titolo, la Ganassi in Pamela, certo anche Verna nel locandiere Matteo. Meno, certamente, la Zerlina della Sarra (eccetto l’esilarante scena della toeletta) e, soprattutto, il Lorenzo di Misseri.

Rory Macdonald, nei panni del direttore, avrebbe certo potuto far meglio. La scelta di eseguire, ancora una volta, un’opéra-comique con dei recitativi accompagnati (ritradotti in francese da una vecchia edizione italiana), è sommamente discutibile, soprattutto sul lato estetico. Per il resto non gli si possono imputare errori grossolani o ben definiti, ma una certa qual pesantezza agogica, un certo strascicamento dei tempi, che sacrifica veramente troppo dell’immediata brillantezza della partitura, rendendo molti passaggi astenici, costringendo qualche cantante a scollarsi impercettibilmente dal ritmo… e via dicendo. Anche i momenti d’assolo, tra le perle melodiche e più scopertamente rossiniane dell’opera, non colpiscono per frizzo: l’idea di Auber, invece, era proprio quella, come ben scrive Bietti nel programma di sala, riferendosi alla precipua caratteristica di quest’opera, «l’estrema brillantezza della scrittura, tanto dell’orchestra quanto, soprattutto, nel ritmo». L’orchestra dell’Opera di Roma sarebbe anche in un buon momento di forma: il problema, in questo caso, è stato delle scelte di Macdonald. Il cast dei cantanti, dal canto suo, è diseguale: si distingue, certo negativamente, il Lorenzo di Giorgio Misseri, che non riesce a emergere né in presenza scenica né vocale, toccando momenti di tale debolezza da essere quasi diafano (come nella sua romanza del III atto). Anna Maria Sarra canta una Zerlina opaca nel I atto (se si eccettua qualche acuto ben centrato), che si riprende però decisamente nel II, sia nella prima aria («Quel bonheur je respire, je suds semle ici»), spumeggiante di acuti, che soprattutto nella seconda, deliziosa, «Oui, c’est demain, oui, c’est demain qu’enfin l’on nous marie», in cui si spoglia per la toeletta, spiata dai briganti; nel III fa il suo dovere. Alessio Verna ha una buona statura vocale e il suo Matteo si lascia apprezzare. I due briganti di Fra Diavolo vengono cantati da Jean Luc Ballestra (Giacomo) e Nicola Pamio (Beppo), che non riescono però a emergere vocalmente, regalandoci solo qualche sprazzo di risate. Roberto de Candia canta uno spassoso Lord Rocburg: centrato nel canto (lo s’è potuto testare nella sua aria del I, una mitragliata di sillabe: «Oh quel plaisir»), ha il physique du rôle e si destreggia bene in una parte da buffo puro. I due migliori cantanti in palco sono, certamente, la Ganassi e Osborn. Sonia Ganassi canta una frivola Lady Pamela con quella pienezza vocale, col giusto fraseggiare, la giusta attitudine sul palco, regalandoci un personaggio ben scontornato. Il re della produzione è John Osborn: potenza vocale, colori, sfumature, uso delle mezze-voci, pastosità timbrica, perfetta padronanza del francese, lo rendono un candidato perfetto per il difficile ruolo di Fra Diavolo, che alterna l’allure di un bandito al fascino del ‘buon brigante’, verso cui quasi ci si immedesima, salvo poi assistere alla sua brutale esecuzione con un colpo sparato da Lorenzo nel finale III, che mal s’adegua a un finale musicalmente non così cupo – un’infelice, è bene dire, trovata del Corsetti. Oltre ai vari ensemble, Osborn ci fa sentire squisite mezze voci, esotici colori, come nella barcarola «Agnès la jouvencelle, aussi jeune que belle, un soir à sa tourelle» (II), ma anche il senso del fraseggio comico, dello svettare, come nell’aria d’apertura del III atto «Je vois marcher sous ma bannière des yens de eceur, de vrais amis». I frequenti ensemble della partitura riescono a strappare qualche timido applauso. Il coro fa il suo dovere. Alla fine gli applausi, più di rito che di cuore, suggellano una serata purtroppo sottotono: un peccato, vista la rarissima occasione di assistere a un’opera come Fra Diavolo.

foto Yasuko Kageyama