Radu Lupu

L'infinita sottigliezza del peso

 di Roberta Pedrotti

Per la stagione di Musica Insieme torna all'Auditorium Manzoni di Bologna con un recital il pianista Radu Lupu.

BOLOGNA, 16 gennaio 2017 - Radu Lupu poggia le dita sulla tastiera e il peso della nota si fa tangibile, come il suo attraversare la meccanica del pianoforte fino a vibrare nell’elasticità della corda. Peso ed elasticità: ecco la sostanza di cui è fatto il suono, nella sua singolarità e nella sua concatenzazione progressiva in forme più ampie e complesse.

Radu Lupu soppesa l’energia e le note rimbalzano in un moto controllato attraverso gravità, flessibilità, altezza e durata. Così il fraseggio si gioca in un moto tridimensionale, privo di reale massa ma in un’idea di massa delineata attraverso un calibro sottile che richiede una cura meticolosa del tocco, una consapevolezza e una chiarezza estrema di visione. Magari, con il passare del tempo, in uno spazio più circoscritto proprio perché sempre intelligentemente misurato. Dopotutto la fisicità del suono non deve essere necessariamente pingue e nerboruta, può anche essere infinitesimale, matematica, e matematicamente poetica, artistica geometria.

Così l’illuminismo dell’Andante con due variazioni e coda in fa maggiore-minore di Haydn guarda avanti, come possibile espressione musicale di una relatività di spazio e tempo conoscibile e misurabile. Parimenti la Fantasia in do maggiore di Schumann trova un suo personalissimo ordine poetico nell’originalità di una visione del suono dall’interno, chiarissima ancora una volta nel calibro di tutte le variabili, compreso il passar degli anni nel fisico del pianista.

La seconda parte, tutta dedicata a Čajkovskij, ci dimostra cosa sia in grado di fare un vero artista con pezzi apparentemente caratteristici come i dodici quadretti mensili delle Stagioni, che scorrono l’uno nell’altro senza alcuna voluttà o qualsivoglia compiacimento folklorico o descrittivo. Basti ascoltare la Barcarola di giugno per aver chiaro come il tema celeberrimo condiviso con la scena della lettera di Tat’jana nell’Onegin possa rapprendersi in un’intensità mille miglia lontana dal salotto dolciastro in cui rischia talora d’esser confinato il compositore russo. Gli stessi passaggi quasi onomatopeici evocanti corni da caccia o campanelle di slitta sono vissuti come evocazioni poetiche, giammai come rassicuranti illustrazioni da contemplare fra le “buone cose di pessimo gusto”. L’angolazione sempre un po’ obliqua con cui Radu Lupu studia lo scoccare del tocco e del peso fino all’oscillazione della corda ribadisce la peculiarità di un fraseggio unico, dalle geometrie singolari, ma mai bizzarro e fine a se stesso, sempre governato da una visione d’insieme ben ponderata ed equilibrata.

Così è anche nel bis schubertiano, che ci ricorda per l’ultima volta come la scienza del peso sia anche arte della leggerezza e della chiarezza.