Das Paradies und die Peri

Il Paradiso recuperato

 di Stefano Ceccarelli

L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia dedica tre concerti alla stupenda partitura Das Paradies und die Peri, oratorio profano in tre parti, per soli coro e orchestra op. 50 di Robert Schumann. La direzione è affidata a uno schumanniano, Daniele Gatti, che sceglie un cast vocale internazionale di livello. La serata è un successo.

ROMA, 9 febbraio 2017 – Il Romanticismo tedesco è pervaso di un’ansia puristica particolarmente confacente alla cultura teutonica, i cui caratteri eminenti emergono ancora oggi leggendo le imprese degli eroi tedeschi medioevali. Se poi si aggiunge che Robert Schumann era particolarmente ossessionato dai temi di grazia/colpa, redenzione/serenità come poli di una tensione sempre viva, non stupisce la scelta di un soggetto come quello de Das Paradies und die Peri, in cui un’impura fata anela ardentemente di vivere in Paradiso, per lei naturalmente precluso, a causa – appunto – della sua connaturata impurità. Le Peri erano, infatti, originariamente demoni maligni dello zoroastrismo, a mano a mano tramutatisi in fate nutrentesi dell’olezzo dei fiori. Schumann realizza così una «proiezione lirico-soggettiva […] sul soggetto prescelto» (A. Rostagni, dal programma di sala), soggetto persiano su cui anche Wagner aveva messo gli occhi, complimentandosi poi con Robert per la riuscita dell’opera-oratorio. L’ambientazione orientale risponde alle mode di una Germania esotista, benché l’elemento esotico non sia centrale né calcato nel linguaggio musicale scelto da Schumann (come nota, acutamente, A. Rostagni).

C’è tutto per creare un capolavoro: ambientazione orientale, esotismo, misticismo (dato anche da un certo qual gusto sincretistico fra le due grandi religioni monoteistiche, Islam e Cristianesimo), topoi della cultura romantica che saranno poi portati all’estremo nel tardo-romanticismo. Daniele Gatti, schumanniano di vaglia, dirige splendidamente la partitura, facendoci gustare i momenti di maggior abbandono lirico (penso, per fare un esempio, alle delicatissime screziature orchestrali evocanti il volo in discesa della Peri in Egitto sotto il canto del coro nella II parte), sorreggendo perfettamente le voci e imprimendo un’agogica al solito riflessiva, capace di aprire a squarci quando l’ethos del passaggio del pezzo lo consenta. Straordinaria l’orchestra, che produrre suoni caldissimi, vibranti del misticismo promanante da una partitura che è al contempo un’opera lirica e un oratorio, di cui mantiene una forte carica mistica. Sublime il coro, capace di ogni sfumatura, di evocare ogni sentimento: edenico il coro femminile delle Uri, «Schmücket die Stufen zu Allahs Thron», intessente le lodi di Allah; o il potente «Doch seine Ströme sind jetzt rot» evocante la lotta degli indiani contro il tiranno Gazna; o il palpitante finale I, esultante alla speranza dell’agognato ingresso in Paradiso; o, infine, il coro dei beati che nel finale III plaude al Paradiso conquistato dalla Peri. Anche i membri che hanno prestato le voci soliste al quartetto delle Peri («Peri, ist’s wahr») hanno regalato un’ottima performance.

Le voci, pure, sono tutte di qualità. Angel Blue canta una Peri non particolarmente brillante nel fraseggio, ma potente nel mezzo vocale: si lascia apprezzare di più quando deve svettare sull’orchestra (come nella succitata scena di giubilo del finale III) che in momenti di cesello del canto. Intenso il calore che promana in «Wie glücklich sie wandeln, die sel’gen Geister» e l’intensità di «Vertossen!». Regula Mühlemann ha voce angelica, delicatissima e cristallina, ma poco potente: buona nei quartetti, è assai commovente nell’assolo «O lass mich von der Luft durchdringen». Il contralto Jennifer Johnston canta assai bene il ruolo dell’Angelo, ieratica e sicura negli acuti, come nel registro medio, conferendo agli interventi angelici particolare sacralità. Martina Mikelić canta bene negli ensemble. Brenden Gunnell, cui è affidato il ruolo del tenore narrante, è lievemente sottotono, non mostrando appieno né la sua potenza vocale né la necessaria profondità d’interpretazione richiesta dalla parte. Patrick Grahl, che ha voce chiara ma esile, autenticamente tenorile, riesce molto bene nel canto del giovinetto appestato: «Ach, einen Tropfen nur aus dem See». Forse la miglior voce della serata è Georg Zeppenfeld, un basso/baritono dalla voce piena, rotonda, tripudiante e duttile, dotata di un elegante fraseggio, volto a cogliere i colori di ogni passo: dal cavernoso Gazna, al Lied sulle meraviglie naturali della Siria, «Jetzt sank des Abends goldner Schein» e all’arioso del siriaco brigante, culminante nel quartetto con coro in cui, pentendosi e redimendosi dei suoi peccati, ricorda quando, bambino, riusciva a pregare proprio come fa il ragazzo di fronte a lui, assorto.

Ottima serata di musica, dove s’è potuto godere un capolavoro assai apprezzato all’epoca di Schumann, ma poi virato nel dimenticatoio. È oggi, fortunatamente, recuperato da più di un’istituzione musicale importante, facendoci godere questa partitura di puro e sognante romanticismo.