fabio luisi, andrea lucchesini

Un nuovo cammino

 di Rossella Rossi

Fabio Luisi si presenta a Firenze con un concerto che ha il sapore di un insediamento solenne in vista dell'entrata ufficiale nella carica di direttore musicale dalla primavera del 2018.

FIRENZE, 25 febbraio 2017 - Anche se Fabio Luisi diventerà a tutti gli effetti direttore musicale del Maggio Musicale solo a partire dalla primavera del prossimo anno, il concerto di sabato scorso ha avuto il sapore di un solenne insediamento alla guida dell’Orchestra e del Coro del teatro fiorentino. In primis la liturgia del concerto scompaginata da una dichiarazione del dimissionario Sovrintendente Francesco Bianchi (qualcuno dal loggione gli ha ironicamente urlato: "ciao!") che gli ha dato il benvenuto augurandogli buon lavoro e lunga permanenza, poi la presenza del Sindaco Dario Nardella e del nuovo assessore Paola Concia a siglarne l’ufficialità. Significativa in questo contesto anche la scelta dei brani eseguiti, quasi un manifesto programmatico, sia per lo spessore musicale, sia per il coinvolgimento di tutte le compagini artistiche del teatro all’evento inaugurale.

Fabio Luisi è direttore di fama mondiale che si divide tra Europa e America e chiude quest’anno sei anni di permanenza al Metropolitan di New York mentre è direttore musicale dell’Opera di Zurigo e direttore Principale dell’Orchestra nazionale danese. Forse da qui proviene la scelta di aprire la serata con un compositore poco frequentato nei teatri italiani, Carl Nielsen. La cantata Hymnus Amoris op. 12 , per soli, coro, coro di voci bianche ed orchestra del compositore danese fonde in un linguaggio eclettico (prima esecuzione, Copenaghen 1897) suggestioni liriche con rivisitazioni preclassiche soprattutto nel riallacciarsi a quell’arte della fuga, sommo vertice del linguaggio musicale dell’epoca barocca. Una pagina tradizionale con tratti di originalità tra l’accademico e un atemporale fascino classicista. Fabio Luisi dirige con gesto ampio, con piglio e autorevolezza e sia il coro delle voci bianche sia il coro del Maggio mostrano buona tenuta e sicurezza esecutiva. Meno bene i solisti - tutti provenienti dall’Accademia di canto del Maggio Musicale Fiorentino - Patrick Kabongo Mubenga, Benjamin Chom e Chanyoung Lee, mentre si perdevano un po’ nel poderoso affresco le pur buone intenzioni musicali della giovane soprano Francesca Longari. Ha chiuso la prima parte del concerto la Fantasia corale per pianoforte coro e orchestra in do min. di Beethoven, eseguita al pianoforte da Andrea Lucchesini che le ha conferito un tono quasi cameristico con l’esibire un tocco morbido e ricercato avulso da ogni esteriorità. Un unicum nella produzione di Beethoven, straordinaria premonizione della molto posteriore Nona Sinfonia.

Chiudeva la serata, o, volendo, ne apriva un altro nuovo capitolo, Eine Alpensinfonie, poema sinfonico che squaderna la sapienza di orchestrazione di Richard Strauss. Qui ogni sezione ha dato il meglio di sé, dagli archi con un suono teso e compatto, agli ottoni, impeccabili, fino alle raffinate filigrane dei legni. La concertazione di Luisi è minuziosa e intelligente e le voci hanno i contorni definiti di una regia che nella trasparenza dei piani sonori delinea il divenire di un paesaggio sonoro che travalica in quello di un viaggio iniziatico. Il feeling c’è, l’entusiasmo e il desiderio di ripartire anche. Se son rose, fioriranno.