Yuja Wang

Omaggio a Roma

 di Stefano Ceccarelli

Prima della partenza per una tournée europea, il maestro Antonio Pappano regala al suo pubblico romano un piacevolissimo concerto. In programma musiche ispirate alla città di Roma: la nuovissima composizione, in prima assoluta, “Caprice Romain” per orchestra (op. 72, n. 3) dello svizzero Richard Dubugnon e gli storici e amatissimi poemi sinfonici di Ottorino Respighi, Fontane di Roma e Pini di Roma. In mezzo, il Concerto n. 1 in si bemolle minore op. 23, capolavoro di Pëtr Il'ič Čajkovskij, interpretato dalla famosa pianista cinese Yuja Wang. Il concerto è un successo di pubblico e gradimento.

ROMA, 29 aprile 2017 – Ospite abituale dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, la bella e talentuosa pianista Yuja Wang, assieme al maestro Antonio Pappano, salutano in un bel concerto il pubblico romano prima di una tournée europea che li porterà in Svizzera, Olanda, Francia, Inghilterra e Germania. Il concerto ha un chiaro fil rouge romano, con una perla čajkovskiana in mezzo.

Il primo dei pezzi in programma, Caprice III (“Caprice Romain”) op. 72 (n. 3) di Richard Dubugnon, in prima esecuzione assoluta, fa scoprire al pubblico italiano un saggio dell’arte del compositore svizzero, che indulge in «una musica estroversa, virtuosistica, narrativa, con un senso acuto del ritmo, uno stile ibrido, eclettico, molto legato a modelli del primo Novecento» (G. Mattietti, dal programma di sala). Pappano dirige con perizia una partitura brillante che vuole rendere la bellezza quasi tormentata, tumultuosa di Roma, facendolo con un linguaggio tipicamente avanguardistico, di sapore mitteleuropeo ma che non si dimentica di tante sonorità d’oltreoceano, bernsteiniane, e soprattutto si ispira chiaramente (come ricordato da Pappano in una bella introduzione delle sue al microfono) a sonorità, nuance, tipiche di tanta musica evocativa di Roma: le prime pennellate del III atto di Tosca, taluni omaggi francesi alla città eterna e il miglior Respighi (del resto, infatti, in programma). Il compositore viene a prendersi meritati applausi assieme a Pappano e alla stupenda orchestra.

Pochi indugi e fa il suo appariscente ingresso la bella Yuja Wang, tornita in un abito elegantissimo: una dea orientale dei tempi moderni, un’icona pop che suona musica classica. Si cimenta in una delle partiture – lasciatemelo pur dire – più belle e affascinanti di tutti i tempi: il Concerto n. 1 in si bemolle minore op. 23 di Čajkovskij. Pappano fa iniziare l’orchestra con grande energia nel maestoso e spettacolare ingresso dell’Allegro (I); la Wang, però, si inserisce con poca energia, attenuando quel contrasto per campiture nette che il russo vuol offrire con questa pomposa apertura e che è particolarmente importante, midollare, nel I movimento – in tal senso, si pensi alle esecuzioni storiche di Richter, Gilels o del Kissin diretto da un Karajan largo di retorica maestosa nella storica registrazione dell’88. (La Wang, in questo suo inserirsi poco eroico, assomiglia vagamente alla Argerich). Della sua arte percussiva, invero, la Wang ci darà più che un’ottima prova nel prosieguo del pezzo, come nell’energica prima cadenza. La lettura della cinese è tecnicamente impressionante: le sue mani si muovono avanti e indietro sulla tastiera, felinamente, in maniera incredibile: ne giovano i quasi ludici passaggi della parte centrale, stille pure di suono che fluiscono in dialogo contrastivo con i timbri orchestrali, o la seconda cadenza. Chi però si aspetti quel velo di malinconia che pur pervade perfino il trionfalistico Allegro, rimarrà deluso: se la musica ne acquista in chiarezza, in un certo senso, manca però quell’animo malinconico autenticamente russo che è una firma di praticamente tutta la scrittura čajkovskiana; e che, a onor del vero, ho riscontrato naturalmente solo nei sovietici di nascita (ecco perché ho citato Richter, Gilels e Kissin). Controprova ne è la straordinaria esecuzione del grazioso Andantino semplice (II), un movimento dalla melodiosità eminentemente tattile, dove i giochi di tocco della Wang, l’agilità che deliba, acquatica, nel Prestissimo centrale, esaltano i suoi naturali talenti; le fioriture, le aggraziate citazioni di uno stile mozartianamente ‘galante’ sono colte con pulita asciuttezza dal pianismo della Wang: Pappano è semplicemente straordinario nell’accompagnamento e nel creare un amalgama timbrico onirico, stupendo. L’Allegro con fuoco (III) esce assai bene: la Wang si muove perfettamente nelle sfasature ritmiche, nella rutilante serie di scale, nelle agilità, mostrando una gamma di colori notevole. Gli applausi sono incredibili, conditi da svariati «brava!»: il pubblico romano attesta di aver profondamente gradito l’esecuzione. Penso che la Wang potrà far meglio continuando a praticare assiduamente questo concerto: meglio sul piano ‘contenutistico’, non certo formale (giacché è tecnicamente incredibile!), magari lavorando più sull’estetica di un romanticismo maturo e tripudiante di cui, soprattutto nel I movimento, la partitura è madida (magari facendolo suo, in qualche modo).

Dalla Russia è ora di tornare a Roma, in una Ringkomposition che avrà, in realtà, una coda inaspettata. Tra i più celebri e amati compositori italiani, Ottorino Respighi è sovente eseguito in Accademia, visto che le Fontane di Roma e i Pini di Roma sono stati scritti proprio per l’orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia. Pappano conosce perfettamente le partiture, che ha eseguito e inciso proprio con la maggiore orchestra romana. A dir poco sublimi le Fontane: i timbri magnificamente impastati dell’orchestra evocano perfettamente l’eterno zampillio delle fontane romane. Pappano dà una lettura emozionalmente trascinante, con esaltazioni d’intensità non solo macroscopiche (come nel divampare luminescente del Tritone e del suo corteggio ne La fontana del Tritone al mattino), ma anche, quasi, impercettibili – gli screziati colori di un pastorale albeggiare ne La fontana di Valle Giulia all’alba. Il brillio della luce riflessa infinitamente nelle eterne acque di Roma si fa epica nella Fontana di Trevi al meriggio e va scemando, elegiacamente, nei rosei e arancioni riflessi dei colori della fontana di Villa Medici. Egualmente straordinaria anche la lettura che Pappano fa dei Pini: i guizzi in medias res dei bambini ne I pini di villa Borghese hanno un sapore ludico incantevole; gli accordi sacrali, i lunghi, austeri pedali orchestrali de I pini presso una catacomba vengono fatti crescere progressivamente con arte impareggiabile dalla sensibilità di Pappano, fino all’acme, quasi la resurrezione dell’antico cristianesimo. I giochi timbrici dei raggi lunari che fendono i secolari Pini del Gianicolo sono stupendi. Potentissima l’avanzata dei legionari sulla via Appia, un coup incredibile dell’invenzione di Respighi, una plastica evocazione di un ritorno ai fasti dell’impero romano: Pappano conduce l’orchestra a una potenza incredibile, con parte degli ottoni collocati sulle gradinate a creare ancor di più grandeur sonora. Il pubblico è in delirio di applausi. Pappano ci regala, prima della tournée, una perla, una coda, appunto, rispetto al finale tutto romano: l’ouverture che Rossini prepose alla versione francese del suo napoletano Maometto II, cioè Le siège de Corinthe.