valentina lisitsa

Il giuoco delle perle di vetro

 di Antonino Trotta

Sfolgorante ritorno di Valentina Lisitsa al Teatro Sociale di Como: la pianista conferma di non essere solo un progetto mediatico ben architettato ma un’artista con grande sostanza.

COMO, 12 Maggio 2017 – Se il confronto con se stessi è sempre impegnativo, non è difficile immaginare come ci si possa sentire se da eguagliare o superare c’è una “se stessa” da centoquaranta milioni di visualizzazioni su YouTube. Ucraina di nascita, russa di sangue, europea di adozione, Valentina Lisitsa è uno dei fenomeni musicali più atipici degli ultimi anni. Dotata di grande fiuto ed inventiva, oltre che ad un’indiscutibile talento musicale, si è imposta (anzi imposta di nuovo dopo un periodo di assenza dalle scene) al grande pubblico come la regina del web, riscuotendo un successo mediatico che farebbe invidia anche ai suoi colleghi più blasonati.

Dopo un concerto che ottenne grandi consensi nel 2008, Valentina Lisitsa ritorna al Teatro Sociale di Como con un recital che riesce a fornire un quadro completo dell’artista in ogni sua più minima sfaccettatura. Sebbene un temporale imperversi su Como, il teatro è quasi completamente gremito e il pubblico accoglie molto calorosamente il ritorno della pianista russa. A elettrificare ulteriormente l’atmosfera c’è, oltre al suggestivo rombo smorzato dei tuoni, un gran coda Bosendorfer che maestoso campeggia sul palcoscenico. Il programma del concerto, molto audace ed impegnativo, sia tecnicamente che musicalmente, si compone di quattro blocchi, nell’ordine: Invenzione a due voci di Bach, Kreisleriana di Schumann, Gaspard de la nuit di Ravel e una selezione di Studi di Chopin (l’ordine di esecuzione è stato cambiato rispetto a quello riportato sulle note di sala).

Il concerto ha inizio con l’integrale delle Invenzioni a due voci di Johann Sebastian Bach. Con questa incursione in un repertorio solitamente affidato a specialisti del settore, la Lisitsa segna immediatamente il primo goal della serata. Il suono adamantino del Bosendorfer nella zona centrale e acuta, unitamente al tocco incisivo e preciso di Valentina, regala una lettura delle Invenzioni di grande spessore. I giochi contrappuntistici sono sempre ben evidenziati, gli abbellimenti perfettamente sciolti e quadrati, i colori variegati (contrariamente alla tradizione esecutiva di questi brani, la Lisitsa utilizza con estrema intelligenza il pedale di risonanza, sia per legare le bravi frasi musicali che per accentuare le dinamiche). Nonostante le invenzioni siano affrontate con molto sprint, i tempi veloci non penalizzano in nessun momento la chiarezza espositiva dell’esecuzione, che nel complesso appare magnetica, coinvolgente, mirata e priva di sbavature.

La prima parte del concerto si chiude con la Kreisleriana Op.16 di Schumann. Fulgido esempio di romanticismo tedesco, la Kreisleriana offre alla Lisitsa la possibilità di dispiegare un canto invidiabile ed un ventaglio di colori di amplissimo raggio. La sua tecnica vigorosa è sempre al servizio della musicalità e la Lisitsa non varca mai la soglia che separa il virtuosismo musicale dall’acrobatismo pianistico algido e macchinoso. Non estranea alla musica di Schumann (di cui ha inciso le Scene Infantili per Naxos e gli Studi Sinfonici per Decca), Valentina affronta il ciclo di composizioni in un unico grande discorso musicale, senza interruzione tra una fantasia e l’altra, intessendo grande drappeggio in cui potenza e sensibilità artistica si intrecciano con aristocratica eleganza. L’esecuzione è equilibrata, avvolgente, rapisce nei momenti più impetuosi e culla nei momenti lirici, dove il fraseggio è limpido e le sonorità vellutate.

Capolavoro fiabesco ai limiti dell’eseguibile, nella Gaspard de la nuit di Maurice Ravel la Lisitsa sfodera tutti i suoi cavalli di potenza. Composta nel 1908 con l’intento di superare per difficoltà l’Islamej di Balakirev, unanimemente considerato una delle pagine più impervie dell’intera letteratura pianistica, la Gaspard de la nuit è una suite in tre movimenti ispirata da altrettante poesie Aloysius Bertrand. Ricca di nuance è l’esecuzione del primo movimento, Ondine, affrontata con un tocco leggiadro ma brillante. La Lisitsa si dimostra eccezionale del dipingere le sonorità acquatiche così evocative richieste dalla composizione. I tremoli sono pastosi, i glissandi corrono morbidi e lenti lungo la tastiera, gli arpeggi sono sempre corposi, le forcelle musicali rispettate con minuzia certosina. L’atmosfera diventa più lugubre nel secondo movimento, Le Gibet. Il suono cupo e profondo del Bosendorfer è di grande sostegno nel plasmare l’immagine dell’impiccagione che ispira il brano. I duecentocinquantotto si bemolle che si ripetono durante tutta l’arcata musicale sono accennati, quasi campane in lontananza, in maniera uniforme e metronometrica, creando uno stato tensivo di inquietudine che dipana perfettamente l’essenza del pezzo. Fuochi di artificio invece nell’ultimo movimento, Scardo, il più ostico dei tre. Valentina Lisitsa affronta le difficoltà con impeto beffardo e sicurezza, superandole quasi tutte indenne. Nonostante qualche sbavatura, la pianista colpisce immediatamente per la limpidezza con cui esegue le note ribattute, tutte perfettamente distinguibili, esemplificando la vera essenza di quella che in gergo viene definita “jeu perlé technique du piano”. Nella parte finale le sonorità diventano evanescenti, quasi delle pennellate impressioniste di suono, e il pezzo termina con un accordo etereo e un fragoroso applauso del pubblico.

Croce e delizia del suo repertorio (la pianista riceve di continuo richieste da parte di presentatori di eseguire in concerto queste gemme, nonostante, come lei stessa ha ammesso sui social, voglia dedicarsi anche ad altro tipo di repertorio), la Lisitsa termina il recital con una selezione di 12 studi di Chopin tratti dalle opere 10 e 25 (in particolare op.10 no.1,3,4,5,12; op.25 no.1,2,6,7,10,11,12). Gli Etudes di Chopin impressionano per la assoluta fluidità nell’esecuzione e ricchezza della tavolozza di colori. Particolarmente di rilievo è l’interpretazione dello studio op.10 no.4 e di quello op.25 no.6 (studio sulle terze), dove l’uso centellinato del pedale di risonanza, la pulizia nel suoni, la rapidità del tocco e la chiarezza del fraseggio regalano 5 minuti di grande eccitazione musicale. Qualche piccola imprecisione nell’attacco delle ottave (nella ripresa finale) non inficia la monumentalità dello studio op.25 no.10, dove con un lungo e calibrato crescendo Valentina riesce a erigere un invalicabile muro di suono. La Lisitsa infatti vanta dei “fortissimi” di grandissimo volume che non cedono mai il passo ad suono metallico o affaticato. Furente infine l’esecuzione dell’op.10 no.12 (noto come “La caduta di Varsavia” o “Rivoluzionario”) e l’op.25 no.12, brano conclusivo del concerto, dove lo scorrere incessante degli arpeggi all’unisono trascina il pubblico in un tempestoso turbinio di suoni che fa guadagnare alla Lisitsa una vera e propria ovazione.

Nonostante la mole del programma, la Lisitsa non esita a regalare come bis la Rapsodia Ungherese no.2 di Franz Liszt. Il Lessan della rapsodia è eseguito con suoni poderosi anche se nella linea di canto si avverte qualche durezza, dovuta ad un attacco del tasto di forza e non di peso. Scintillante e ironica invece è la Friska, sia nel tema principale eseguito più lentamente, sia nello sviluppo successivo, dove la Lisitsa sfoggia tutta la sua funambolica maestria.

Lontana da ogni minima sfumatura di divismo, ”l’umile ancella del genio creator” timidamente saluta con sorrisi e smorfie, quasi incredula del successo ottenuto, il pubblico comacino, che ha attivamente partecipato alla serata offrendo un continuo sottofondo di brusii e squilli di cellulare. Valentina Lisitsa vince il confronto con la sua proiezione virtuale, quell’alter ego rabberciato fatto di bit, inanellando una serie di interpretazioni che superano di gran lunga quelle multimediali che l’hanno sublimata al successo.