L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Mitsuko Uchida e Antonio Pappano

La sobria eleganza di Mitsuko

 di Stefano Ceccarelli

Una pianista sobria, elegante, musicale, intelligente, dal tocco fatato: queste le doti di Mitsuko Uchida, da più di vent’anni ospite dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Il recital che offre questa volta è incentrato sulla musica di Robert Schumann, di cui esegue due composizioni autenticamente romantiche: Kreisleriana op. 16 e Fantasia in do maggiore op. 17. La sua presenza romana, che vedrà anche l’esecuzione del Concerto per pianoforte, con Pappano sul podio, la vede monograficamente impegnata su uno dei più importanti rappresentanti del Romanticismo musicale europeo. In apertura di concerto esegue la deliziosa Sonata in do maggiore K 545 di Wolfgang Amadeus Mozart.

ROMA, 15 maggio 2017 – D’un’eleganza giapponese, in blusa e pantaloni neri, la figura tagliata alla vita da una cintura dorata a ricordare il kimono, Mitsuko Uchida, fra i pianisti più famosi al mondo, fa il suo calmo incedere sul palco della sala Santa Cecilia. Concentratissima, meditativa, attacca la Sonata in do maggiore K 545 di Mozart: di un’estrema semplicità, fu scritta espressamente per la didattica (lo stesso Mozart la definisce “Piccola sonata per dilettanti”) e un po’ tutti quelli che hanno studiato, poco o molto, il pianoforte la ricordano quasi a memoria. L’estrema facilità della scrittura della sonata rende il pezzo banco di prova delle più disparate interpretazioni: si pensi alle variazioni di cui abbondava l’esecuzione di Gulda, per esempio, e di cui ci ha dato esempio anche Sokolov in un suo recente recital in Accademia. La Uchida disvela i suoni come fosse un bambino che scopre la vita, cogliendo ed esaltando senz’artificiosità la voluta schiettezza della fresca scrittura dell’Allegro: tersi i passaggi, chiara la rapidità delle scale, parchi ma eleganti gli abbellimenti. Talvolta, qualche ritardando appena percettibile a movimentare la chiara calma del tutto. Sognante, estatico, dolcissimo l’Andante, testimonianza perfetta dell’eleganza dello stile settecentesco. Estremamente puntato, rallentato l’approccio al Rondò (ricorda Friedrich Gulda, in tal senso), quasi a mimare chi s’approcci, appunto, per via didattica al brano, quasi esercitandosi. Calorosi gli applausi: la Uchida ci fa perfettamente godere la «spensieratezza concettuale» (A. Quattrocchi) di questa sonata.

Dopo il preludio mozartiano, il recital assume decisamente una facies monografica: Kreisleriana a chiudere il primo, Fantasia in do maggiore ad aprire il secondo tempo. La Uchida, peraltro, continuerà l’approfondimento schumanniano con il Concerto per pianoforte in programma alla fine della settimana con Pappano sul podio. Di Kreisleriana la Uchida coglie l’intima dolcezza, che è flebile forza d’animo dell’eroe romantico trascinato dai furori dell’ispirazione: le riesce magnificamente il n. 2 (Sehr innig und nicht zu rasch), che scava nell’animo dell’ispirazione con queste arcate di accordi, quasi un sussulto minimo ma ipersensibile (melodia dai critici associata al pensiero di Clara da parte dell’innamorato Schumann); il n. 6 (Sehr langsam) con una vibrante e al contempo cullante intensità; e anche il n. 4 (Sehr langsam), ricco di passaggi chiaroscurali, indugi, respiri. Quello che manca, a mio avviso, alla Uchida è quel pizzico di puro dionisismo che le consentirebbe di lasciarsi più andare nei passaggi di più intimo sussulto dell’animo schumanniano: così nell’apertura (n. 1: Äusserst bewegt) o nella cavalcata del n. 8(Schnell und spielend), di cui Liszt si ricorderà per quella del Mephisto e che esce quasi psicologicamente immaginata, o udita assai di lungi, e nei successivi sussulti, lievemente astenici. Di ‘mezzo carattere’ il n. 3, cui riesce comunque a donare brillantezza all’incipit rutilante, e il n. 7, nei cui movimenti si avverte più tensione che nei precedenti brani di questo stesso ethos. Un’interpretazione, insomma, vertente sull’apollineo, in un certo senso; o sulla intima risoluzione del dramma in un dialogo fra sé e il pianoforte, quasi che non faccia ‘strepito’. Il pubblico gradisce e applaude.

Il secondo tempo vede l’esecuzione della Fantasia in do maggiore. La Uchida, nella I parte, si esprime degnamente con emozioni quasi iniziate e poi sospese, dando smalto al senso leggendario della scrittura (Im Legendenton recita parte dell’indicazione agogica dello spartito). Respira profondamente, si emoziona nelle frasi di un romanticismo quasi lunare, ma sa anche essere più ‘ardente’ di quanto non sia stata nella Kreisleriana. Della II parte risulta apprezzabilissima la passione con cui porge al pubblico la sorta di marcia d’apertura; crea, poi, emozione crescente trascolorando dalle dolcezze all’epicità di spirito, terminando in una nota lunghissima e pregna di senso. Particolarmente solenne, seppur di una privata, introspettiva solennità, la III parte: i temi scorrono, quasi improvvisati, e la Uchida coglie magnificamente la climax emozionale con cui Schumann omaggia la scrittura dell’ultimo Beethoven. Gli applausi scroscianti ripagano un bel recital, che ci fa gustare un’artista dal pianismo intelligentissimo, dalla personale musicalità, dal tocco etereo.

 


 

 

 
 
 

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