L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Luce dal Nord 

 di Alberto Ponti

All'auditorium 'Toscanini'  risuonano Beethoven e Mendelssohn in memoria di Jeffrey Tate

TORINO, 8 giugno 2017 - La notizia dell'improvvisa scomparsa del maestro inglese Sir Jeffrey Tate, avvenuta venerdì 2 giugno durante una visita alla pinacoteca dell'Accademia Carrara di Bergamo, dopo aver diretto due giorni prima la Nona di Mahler con l'Orchestra Haydn a Bolzano e Trento in quella che sarebbe stata la sua ultima apparizione sul podio, ha avuto, se possibile, una venatura di tristezza ancor maggiore a Torino, che attendeva uno dei direttori da sempre più amati dal pubblico subalpino per il terzo concerto del Festival di Primavera dell'Orchestra Sinfonica Nazionale di giovedì 8 giugno. Pregno di sentita commozione è stato quindi il minuto di raccoglimento tributato dalla sala all'inizio della serata dedicata in memoriam al grande musicista. 

In luogo del Concerto di Edward Elgar programmato in origine, il violino di Vilde Frang e la bacchetta di Gergely Madaras hanno eseguito uno dei vertici dell'intero repertorio come il Concerto in re maggiore op. 61 (1806) di Ludwig van Beethoven (1770-1827). Il lavoro, colossale nelle dimensioni e nel respiro, per il suo carattere in prevalenza lirico non impressionò subito gli ascoltatori dell'epoca, al pari di altre opere beethoveniane, ma rivela elementi di straordinaria novità costruttiva, uniti a una delle più alte manifestazioni del genio creativo dell'autore. L'attacco col timpano solo dell'Allegro ma non troppo, da cui prende avvio il meraviglioso primo tema, dimostra il modo di fare arte anche con una semplice semiminima ripetuta cinque volte. Lo stesso solista esordisce su una pulsione di note regolari, con un gesto improntato in contemporanea ad attesa e narrazione, appena punteggiato da sobri accordi di archi, clarinetti e fagotti, quasi a scusarsi per aver rubato la scena. 

Il suono di Vilde Frang, classe 1986, che ci ricordavamo in un'ottima interpretazione del Concerto di Benjamin Britten nel novembre 2015, risulta particolarmente adatto al tono colloquiale di tutta la partitura e colpisce per profondità e chiarezza di intonazione, nonostante manchi a tratti di quella rotondità sensuale nel conferire l'incanto dell'estasi ai momenti di maggior abbandono cantabile. La giovane norvegese riesce a far vibrare il Larghetto centrale dell'autentica emozione di chi mette a nudo la propria anima, innervando invece di un robusto vigore tutto il Rondò conclusivo, tra i richiami di danza impliciti nel tempo di 6/8 (sublime reminiscenza di gighe bachiane) ed improvvisi slanci nel registro acuto, unica concessione del compositore a un gusto brillante. La figura nobile e slanciata della Frang, capace di mantenere nella sua nordica compostezza una rigorosa tensione ideale per tutta l'esecuzione, l'attenzione di un pubblico non numeroso ma devotamente raccolto nel ricordo di Tate, ci hanno fatto sovvenire, mai come in questa occasione, i versi danteschi nel trasportarci in una dimensione superiore 'che solo amore e luce ha per confine'. 

Il lungo applauso della platea si ripete con eguale intensità anche al termine di un altro capolavoro quale la Sinfonia n. 3 in la minore op. 56 Scozzese (1842) di Felix Mendelssohn-Bartholdy (1809-1847), presentata dopo l'intervallo. La lettura di Madaras si caratterizza per il rilievo concesso alla consistenza timbrica di piena impronta romantica, evidente nel trattamento del quartetto dei corni, chiamati ad evocare le suggestioni della natura delle Highlands fin dalla frase di esordio, così come dell'intera sezione dei legni, in grande spolvero nel secondo movimento Vivace non troppo, dipinto con delicatezza ed equilibrio tra i cangianti piani dinamici. Il maestro trentatreenne predilige un taglio squadrato e tempi sostenuti anche nella restante parte della sinfonia, castigando forse la raffinatezza di certi impasti di pretta natura cameristica, ma guadagnando nell'efficacia complessiva della composizione, soprattutto nel finale acceso dalle grandi pennellate degli archi, spesso indicate sforzando, e chiuso da un inno trascinante e grandioso (Allegro maestoso assai) dai chiari toni leggendari. 


 

 

 
 
 

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