L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

La fascinazione del paesaggio

 di Alberto Ponti

Ingo Metzmacher, Jean-Yves Thibaudet e la Gustav Mahler Jugendorchester regalano un’entusiasmante apertura della undicesima edizione di MITO Settembre Musica

Lo stesso concerto nella recensione di Antonino Trotta

TORINO, 4 settembre 2017 - Diciamolo chiaramente: la Gustav Mahler Jugendorchester è una delle migliori compagini sulla scena mondiale, e poco importa che i suoi componenti (in cui predomina ormai di gran lunga il genere femminile), tutti giovanissimi e in cerca di posizioni di prestigio in quella manciata di orchestre che costituiscono il termine di paragone assoluto, siano sottoposti a un turnover spesso elevatissimo.

Le straordinarie caratteristiche di versatilità stilistica, di controllo sovrano del suono e del timbro anche nei passaggi più complessi, unite a una contagiosa esuberanza giovanile hanno letteralmente sbancato, sotto la bacchetta di Ingo Metzmacher, anche la compassata platea del Teatro Regio di Torino nel concerto inaugurale della rassegna MITO Settembre Musica di lunedì 4 settembre (la sera precedente, con lo stesso programma, era andata in scena la gran prima milanese alla Scala). Applausi a oltranza, prima, durante e dopo i quattro brani in programma, impaginati in modo da ricreare un percorso, tutt’altro che lineare ma di intrigante suggestione, attraverso paesaggi appartenenti a epoche e stili diversi.

Esordio con la giovane compositrice inglese Anna Clyne (1980): The Midnight Hour (2015) dimostra un’indubbia abilità nell’orchestrazione e, come accade con la musica della più bell’acqua, si può ascoltare dimenticandosi senza troppi problemi le suggestioni poetiche (Baudelaire e Juan Ramón Jiménez) che ne stanno, con una punta di pretenziosità, alla base. Non esiste tuttavia luogo della gradevole partitura che non dia l’impressione di un qualcosa di già ascoltato altrove, producendo l’effetto di una raffinata colonna sonora vintage per un poliziesco o thriller, con tanto di inseguimenti e fughe, dall’inconfondibile sapore hitchcokiano. Consigliamo ai registi britannici di tenere d’occhio l’artista.

L’entrata di Jean-Yves Thibaudet ha il potere di scaldare all’istante la sala, nell’attesa del temibilissimo Concerto in fa per pianoforte e orchestra di George Gershwin (1898-1937). Brano geniale nell’inventiva melodica delle sue idee principali, capaci di trasportare chiunque nell’atmosfera della New York anni ’20, esige un solista che magnetizzi l’attenzione dalla prima all’ultima nota, tenendo saldamente tra le dita la continuità di un discorso talvolta ostacolato da divagazioni non sempre coerenti. Il pianista francese trionfa in questo autentico tour de force affrontato con un tocco sempre leggero e scanzonato, dialogando con le prime parti dell’orchestra (dal flauto al sassofono al violino solista) tutte in una forma strepitosa, premiato da un’ovazione già dopo l’Allegro iniziale e regalando infine una levigata lettura della Berceuse dalla suite Dolly di Fauré in coppia con il direttore.

Incastonata come una gemma preziosa prima del grandioso Ravel di Daphnis et Chloé, l’ouverture da concerto Nel regno della natura op. 91 di Antonín Dvořák (1841-1904) ci guida, col suo panteismo istintivo e sereno, nel regno fatato di una foresta slava. Mondo lontanissimo dalla nostra sensibilità mediterranea, cugino stretto delle selve mendelssohniane e wagneriane, viene evocato dal maestro boemo con una scrittura sempre in punta di penna, esaltata magnificamente dalla lettura di Metzmacher, attenta a illuminare in filigrana il minimo dettaglio senza raffreddare il robusto impeto popolare che impronta tutta la composizione.

Apoteosi di una tecnica orchestrale rimasta ineguagliata, il balletto ispirato al romanzo ellenistico di Longo Sofista è la più ambiziosa ed estesa partitura raveliana. La suite n. 2 eseguita in chiusura di serata condensa in una ventina di minuti tutto il mondo dell’opera, dal sublime Lever du jour alla dionisiaca Danse générale. In assenza della rappresentazione scenica è il maestro a danzare sul podio mentre sfila ancora una volta tutto lo stupefacente potenziale di questo gruppo: i melismi dei flauti sul velluto delle arpe spalancano le porte alle rapide scale dei fiati per arrivare al colossale crescendo emotivo del finale: cento strumenti insieme e puoi percepire, come in un bassorilievo antico, ogni linea del movimentatissimo paesaggio. Magia di Ravel e della Gustav Mahler Jugendorchester.


 

 

 
 
 

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