swinglers

Nel gran labirinto del tempo

 di Alberto Ponti

Viaggio ai poli opposti del Novecento con l’accoppiata Berio/Bernstein

TORINO, 2 novembre 2017 - Uno dei peccati mortali da alcuni decenni a questa parte è credere che i nostri predecessori in molte discipline artistiche siano stati così eccelsi da non poter prendere nemmeno in considerazione l’idea di creare qualcosa, se non superiore, almeno paragonabile alle loro opere, grandi o piccole che siano. Ecco allora tacciata di scempio paesaggistico la demolizione di una anonima palazzina del ventennio (per di più maldestramente sopraelevata negli anni del boom) per il solo fatto di trovarsi nel quartiere romano noto per gli eclettici e fantasiosi edifici di Gino Coppedè. Si invoca l’intervento di magistrati, sovrintendenti, prelati, associazioni di categorie e di consumatori per fermare basse trame speculative dimenticando che molti capolavori, veri o presunti, dei secoli passati furono il prodotto, dai mercanti fiorentini agli scandali delle banche di età giolittiana, di speculazioni ancora più sfacciate e moralmente discutibili. D’altronde, se già nel 1955 a Frank Lloyd Wright fu negato il permesso di costruire a Venezia, il fenomeno ha radici profonde e si estende fatalmente anche alla musica. A maggior ragione dobbiamo quindi essere grati a Luciano Berio (1925-2003) che con la sua grandiosa Sinfonia (1968-69) per otto voci amplificate e orchestra dimostrò come invece si può essere di una modernità sconvolgente senza rinnegare un solido legame con gli spiriti più vivi di una lunga tradizione. La complessa opera è stata il fulcro del concerto diretto da John Axelrod, per la prima volta in questa stagione sul podio dei complessi della Rai, giovedì 2 e venerdì 3 novembre presso l’auditorium Arturo Toscanini di Torino. Accanto al maestro statunitense erano protagonisti i cantanti del gruppo The Swinglers, capaci di passare dalla sillabazione quasi parlata dei testi di Beckett e Lévi-Strauss del pezzo di Berio a uno sfrenato, e applauditissimo, Libertango di Astor Piazzola eseguito in veste di bis nella loro abituale formazione a cappella.

Ogni considerazione critica sull’esecuzione di questi straordinari professionisti è superflua: nel loro ambito sono sic et simpliciter il top. I giovani, brillanti e dilaganti componenti si sono rinnovati rispetto al passato, mantenendo tuttavia inalterato il prestigio dell’ensemble per cui in origine fu pensato il lavoro.

La partitura di Sinfonia si pone come un caposaldo del secondo Novecento, mantenendo a quasi mezzo secolo dalla nascita l’attualità di un linguaggio espressivo originale e coinvolgente, solo in apparenza frenato dall’elevata complessità della scrittura, che accanto alle voci prevede l’impiego di una grande orchestra. Mille sono i fili sotterranei che danno una coerenza quasi matematica al discorso ma non possono non colpire l’ascoltatore anche meno avvezzo al repertorio contemporaneo il sognante esordio, la dolcezza repressa della trenodia in memoria di Martin Luther King, la sbalorditiva parafrasi sul secondo movimento della Terza di Mahler che innerva, in una geniale ricapitolazione di tutto il pensiero musicale occidentale, il terzo e centrale movimento, polo d’attrazione su cui ruoteranno a specchio i due episodi conclusivi. Sotto il gesto ora misurato ora implacabile di un direttore apparso in autentico stato di grazia, la navigazione nel mare immaginato dal compositore ligure viene condotta senza fastidiosi beccheggi e imbardate: ogni nota rimane al suo posto, gli accenti si sciolgono in sonorità liquida per poi ravvivarsi in bagliore accecante di suono anche per il merito di un’Orchestra Sinfonica Nazionale temprata dalle ormai numerose incursioni nella nuova musica delle passate stagioni.

Dopo tanta vertigine, il Divertimento (1980) composto per il centenario della Boston Symphony e la breve suite dal balletto Fancy Free (1945) di Leonard Bernstein (1918-1990) sono un bilanciamento salutare sulla scorta di un puro edonismo terreno. Axelrod, che con l’intramontabile Lenny studiò, sguazza come un pesce tra i ritmi di marcia alla Sousa, di blues, di samba tradotti in un linguaggio formale di suprema eleganza ma che non risparmia all’occorrenza il dissacrante motto di spirito. Un’autentica gioia per il pubblico non numerosissimo, lo stesso giorno in cui la folla si riversava all’inaugurazione di Artissima, manifestazione con cui si potrebbero sfruttare feconde sinergie, al momento purtroppo lettera morta. Artisti e musicisti non sono mai stati isolati fra loro in passato e non lo sono oggi ma la musica classica contemporanea, a differenza dell’arte, non ha finora reso milionario nessuno e non possiede l’eloquenza sociale comme il faut del mondo parallelo reso desiderabile a molti dal fruscio del contante nelle tasche di pochi.

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foto Più Luce