L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Lontano dal Brandeburgo

di Roberta Pedrotti

Ghiotta, sulla carta, l'occasione di ascoltare i sei Concerti brandeburghesi di Bach nel ciclo Grandi interpreti del Bologna Festival. Purtroppo, questa volta, con la Capella Savaria diretta da Zsolt Kallò, le aspettative sono andate deluse.

BOLOGNA, 16 aprile 2014 - Ancora Bach nel cartellone del Bologna Festival. Dopo la bella serata che ha visto esibirsi per la prima volta insieme in un teatro chiuso Isabelle Faust e Mario Brunello [leggi la recensione] in una trascrizione dal Clavicembalo ben temperato che ci ha fatto desiderare, per il futuro, un possibile approccio in duo anche a opere più schiettamente astratte, come l'Arte della fuga, torniamo all'Auditorium Manzoni per un programma interamente consacrato ai sei concerti cosiddetti Brandeburghesi. Li interpreta l'ungherese Capella Savaria, che dovrebbe negli intenti incarnare la summa della riflessione bachiana sulle potenzialità del concerto barocco nelle sue diverse forme. Purtroppo l'esito è stato al di sotto delle aspettative e, una volta tanto, i Grandi interpreti di questo ciclo primaverile non hanno suscitato un entusiasmo all'altezza della loro fama, in questo caso di complesso barocco attivo da trentatré anni sulla scena internazionale. Complice forse anche l'acustica poco propizia a questo repertorio, l'impasto degli archi è parso subito piuttosto sgranato, ruvido, poco nitido e compatto, migliorando gradualmente nel corso della serata, ma sempre con uno spettro dinamico e coloristico decisamente ristretto. I cornisti Krzysztof Stencel e Dàniel Pàlkövi non hanno entusiasmato, ma soprattutto ha lasciato perplessi Tamàs Pàlfalvi alla tromba: conosciamo le difficoltà degli ottoni naturali, che, privi della meccanica ottocentesca, sono quasi impossibili da suonare con intonazione sempre impeccabile, ma in questo caso ai – troppo – frequenti sbandamenti si è unito un virtuosismo piuttosto goffo e un timbro decisamente poco curato e suggestivo, quando invece proprio il colore dovrebbe costittire il punto di forza di questi strumenti. Pàlfavi è giovane e forse ancora acerbo, ma certo per un concerto di questo livello ci si aspettava molto di più. Così come ci si aspettava di più dalla cembalista Rita Papp, che non pare far parte dell'organico principale della Capella, dove è indicato come titolare degli strumenti a tastiera Tamás Szekendy. Ben un terzo degli strumentisti (fra cui anche i citati cornisti e trombettista) effettivamente non sono fra gli abituali collaboratori citati nel sito ufficiale del complesso diretto da Zsolt Kallò e questo può aver influito sull'esito della serata, benché gli archi fossero praticamente tutti quelli stabili. Di certo la Papp ha offerto una ben modesta prova di sé, con un fraseggio spezzato, una musicalità impacciata, e qualche nota falsa. Meglio, nel complesso, i flautisti Andrea Bertalan (traversiere), Gàbor Prehoffer e Bettina Simon (flauti dritti) e gli oboisti Marek Niewiedział, Csaba Nagy e Màrton Brandisz.

Al termine dei sei Concerti brandeburghesi, un bis: il secondo movimento (Aria) dalla Suite n° 3 in re maggiore BWV 1068, ovvero, la stesura originale per ensemble d'archi di quella che è diventata celeberrima, nella sua trascrizione violinistica, come Aria sulla quarta corda. Anche qui qualche calo d'intonazione ha suscitato una certa delusione e, fra cortesi applausi, il pubblico si è diretto al guardaroba o, vista la bella stagione incipiente, direttamente all'uscita. Una nota positiva è però assolutamente d'obbligo: di concerto in concerto notiamo l'entusiasmo e la vitalità degli studenti delle scuole superiori aderenti al progetto Giovani in sala. Tutti attenti ed educatissimi all'ascolto, calorosi – quando occorre – negli applausi, senza abuso di gridolini o fischi all'americana fuori luogo, concentrati e ben preparati, rappresentano davvero una confortante ventata di freschezza e speranza e vanno lodati, insieme con gli insegnanti che li hanno preparati e con i promotori e gli ideatori del progetto.


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