giuseppe filianoti e patrizia ciofi

La rondine che non fa primavera

 di Giuseppe Guggino

Un successo piuttosto tiepido accoglie la recita domenicale di questa Rondine pucciniana inaugurale della stagione operistica al Bellini di Catania, cartina di tornasole dello stato di un Ente impegnato ormai da troppo tempo nell’inseguimento di un rilancio che – alla luce dei fatti – pare appiattirsi alla dimensione del miraggio.

Catania, 21 gennaio 2018 -Se nelle recenti stagioni il Teatro Bellini di Catania, pur fra tante difficoltà, aveva saputo inanellare in stagione qualche spettacolo di punta a cui assicurare una parte visiva di rilievo (come, ad esempio, negli spettacoli curati da Andrea Cigni a inaugurazione delle precedenti due stagioni), oltre alla consueta affidabilità dei complessi dell’Ente, la programmazione 2018 pare invece privare il pubblico catanese persino di un’oasi di ristoro. Alla luce di una stagione piuttosto sottotono per quantità e qualità, infatti, seppur presentata in una conferenza-evento dal Ministro Franceschini in persona, si confidava non poco in questa Rondine inaugurale, ché spiace dover dar notizia che tale non si è rivelata.

Titolo non certo tra i più impegnativi del catalogo pucciniano, stilisticamente poco assimilabile a un genere vero e proprio, si sostanzia della levità del canto di conversazione, sovente a tempo di Valzer, tanto da potersi ritenere un Rosenkavalier italiano; drammaturgia meno infallibile e concludente, quindi registicamente abbisognevole di una mano più sicura e audace di quella di Gianluigi Gelmetti, ben più affidabile nella concertazione di una partitura di cui – e non a torto – è strenuo difensore e assiduo frequentatore (avendola già incisa con la RAI per la Warner Fonit ed eseguita persino in Australia).

Incuriosiva non poco sulla carta il cimento come Magda di un’assidua frequentatrice del ruolo per certi versi parallelo di Violetta Valery quale fu Patrizia Ciofi, in anni di maggiore smalto e consistenza dei propri mezzi, oggi capace di un’interpretazione combattuta del ruolo, costellata da qualche occasionale filatura di pregio. Nel ruolo che fu di Tito Schipa, Giuseppe Filianoti esibisce il pregevole timbro che non da oggi gli si riconosce, mancando talvolta di incisività, ma risultando in ogni caso il migliore nel panorama generale. Senza guizzi la rimanente parte della compagnia composta dalla coppia speculare Lisette/Prunier di Angela Nisi e Andre Giovannini nonché da Marco Frusoni (Rambaldo) e Ivanna Speranza, Katarzyna Medlarska, Pilar Tejero (Yvette/Bianca/Suzy)

Ancora meno sodisfacente, al limite dell’imbarazzo, la parte visiva pur firmata da Pasquale Grossi, che dall’artigianato teatrale ha saputo cavare risultati ben più convincenti in altre occasioni; sorvolando su un secondo atto risultato goffo per l’affastellamento di masse in abiti dei più improbabili in una cornice scenica riuscita piuttosto maldestra, è nell’essenzialità del terzo atto che finalmente si riesce a recuperare la misura dell’eleganza, sempre presente nella scrittura pucciniana, anche quando sembra occhieggiare al vaudeville.

L’orchestra suona meno bene del solito, specie tra gli archi, così come il coro, sovente molto più omogeneo, risente nel secondo atto dell’impostazione generale troppo scombinata.

Se la rondine non fa primavera, e da troppe primavere, alle rondini che stanno in un Teatro ormai incapace di provvedere negli ultimi mesi persino all’aggiornamento della propria pagina web, non rimane che augurare con un poco di malinconia la migrazione in nidi più accoglienti.

foto Giacomo Orlando