L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

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MILANO, 11 febbraio 2018 - Per ciò che riguarda Die Fledermaus, a Milano è invece andato scena un adattamento della disinibita tradizione esecutiva austriaca, la quale apre il testo a reinvenzioni, licenze scherzose e interpolazioni, fino a una radicale riconcezione della drammaturgia. Regìa di Cornelius Obonya coadiuvato da Carolin Pienkos, scene e costumi di Heike Scheele, coreografie di Heinz Spörli: allestimento anche questo nuovo, anzi nuovissimo, ché la storia della Scala disdegna l’operetta, e un capolavoro super genera come Die Fledermaus non vi aveva ancora mai messo piede. Pure qui una trasposizione spazio-temporale, ma più incisiva e suscettibile di qualche interrogativo. L’arcisfavillante Vienna avviata alla finis Austriae diviene un odierno buen retiro tra Tirolo e Salisburghese, frequentato da straricchi avvezzi a risiedere nel mondo intero e a parlare una confusa babele linguistica: come davvero avviene in quei contesti, i dialoghi tedeschi sono dunque pasticciati in un disinvolto frullato di tedesco e italiano, speziato di francese e inglese; ma al momento di tirare le somme, incoerente è che pari disinvoltura abbiano in ciò anche i personaggi del luogo e di non pari censo.

La compagnia riflette quanto detto, assortendo cantanti di lingua madre perlopiù tedesca o italiana, capaci di praticare ambo gli idiomi. Piace la Rosalinde di Eva Mei, che nei panni della padrona fa valere con tanta aura quanta autoironia l’esperienza da primadonna virtuosa. Piace l’Adele di Daniela Fally, persin più esposta nel canto di bravura ma – ruolo di serva – declinata con franca comunicativa popolare. Piace il Dr. Falke di Markus Werba, ove il personaggio messo a punto, l’attore spigliato e il cantante scaltrito gareggiano per potere di seduzione. Piace l’Alfred di Giorgio Berrugi, che insistendo nel ritratto stereotipico del tenore rivela nel contempo l’intelligente bonarietà dell’interprete. Piace il Principe Orlofsky di Elena Maximova, pomposa ed enfatica anche perché il personaggio è qui ribaltato, al femminile, in oligarca russa. Spinge alla venerazione il Cornelius Meister che ha sostituito Zubin Mehta convalescente: fa respirare come nessun altro ogni angolo della partitura, fa splendere la seta dell’orchestra scaligera in invidia ai Wiener, è il direttore tedesco di più onnipotente poetica e tecnica tra gli under 40; guai a chi non se ne voglia accorgere.

foto Brescia Amisano


 

 

 
 
 

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