L’Olandese approda a Roma

 di Stefano Ceccarelli

L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia rappresenta ancora, in forma di concerto, un’opera di Richard Wagner, dopo Das Rheingold nel 2013. Questa volta tocca a Der fliegende Holländer, sotto la bacchetta del neoeletto direttore ospite principale Mikko Franck, che dirige un cast incredibile e prettamente wagneriano (Paterson, Salminen, Wagner). L’orchestra e il coro sono in splendida forma: la serata è un successo.

ROMA, 30 marzo 2018 – Der fliegende Holländer, l’opera da molti considerata come il primo ‘vero’ lavoro di Richard Wagner, del Wagner maturo, che tutti conosciamo come una pietra miliare del gusto e, in un certo senso, di una nuova filosofia musicale dell’800, va in scena per la prima volta, naturalmente in forma di concerto, nella Sala Santa Cecilia: sul podio il neoeletto direttore ospite principale Mikko Franck. Fin dall’attacco del celeberrimo ouverture ci si rende conto dell’ottimo stato di forma dei complessi orchestrali; e, nel prosieguo della direzione, appare limpida l’idea portante di Franck: quella di scrostare il Wagner, diciamo, pre-Ring dall’indefessa (e, se troppo stirata, certo monotona) grandeur, in particolare in quei momenti di un’opera che vede in misura considerevole il dispiegarsi di stilemi operistici italo-francesi. Questo, certo, senza togliere nulla ai momenti effettivamente grandiosi di una partitura in tal senso generosa, come l’attacco del I atto e il finale III. Esempio perfetto ne è già l’ouverture stessa: la tempesta con cui si apre, il tema dell’Olandese, viene perfettamente accostata dalla sensibilità di Franck, con un trapasso ricco di sfumature, al contiguo e più intimistico tema della redenzione di Senta. L’apporto migliore di Franck alla lettura della partitura de Der fliegende Holländer sta proprio qui: la capacità di sfruttare tutte le incredibili potenzialità dell’orchestra dell’Accademia, di cavarne i giusti e consoni colori, di mantenere un suono pastoso, deciso, capace però di sfumare soprattutto nei momenti di atmosfera più popolare o nei duetti, dove Franck non subissa mai le voci, in special modo quando la scrittura orchestrale è squisitamente italo-francese. In tal senso, vorrei fare giusto qualche esempio, cogliendo l’occasione di tributare, ancora una volta, i complimenti più sinceri all’eccellente compagine corale. Tutta la parte del coro dei marinai nel I atto e nel III atto, come pure il coro delle fanciulle filatrici in apertura del II, palesano l’abilità di Franck di esaltare la musica ‘pittorica’ e caratteristica della scrittura wagneriana, che qui si fa volutamente mimetica di atmosfere popolari. Al contempo, in alcuni momenti, Franck riesce a tenere le voci a un volume contenuto e a far in modo che gli interpreti sillabino esaltando la scrittura italo-francese dell’orchestra: così avviene nel duetto fra Daland e l’Olandese nel I atto; o nell’intervento ‘rossiniano’ a chiusa (una sorta di stretta, appunto) della scena della filatura dell’inizio del II atto. Ma l’arte di Franck non si vede solo da situazioni in cui è necessario lavorare di cesello, ma anche dal respiro nell’affrontare i momenti di maggior pathos: l’esempio migliore, in tal senso, è la scena in cui i Norvegesi scoprono che gli Olandesi sono in realtà dei morti, prorompendo in un corale di incredibile potenza, che il direttore esalta a monte di una ben diretta climax (la lenta scena, cioè, di agnizione). Insomma, Franck non fa mancare nulla a una ottima resa della partitura wagneriana, dalla prima all’ultima nota: l’orchestra e il coro lo seguono, da par loro, magnificamente.

Il cast dei cantanti, tutti specialisti wagneriani, è ottimo e assicura una serata di altissimo livello. Iain Paterson, un wagneriano di vaglia, canta il ruolo dell’Olandese. Voce brunita, non molto potente nelle zone basse della tessitura ma estremamente malleabile, il baritono regala una bella interpretazione di un ruolo che conosce assai bene: basti qui citare l’arioso di sortita nel I atto («Die Frist ist um»), dove deliba tutti gli stati sentimentali di un carattere come quello del marinaio maledetto, non forzando mai ma, anzi, preferendo chiaroscurali sfumature; o il suo duetto con Senta (II atto), dov’è capace di far emergere anche l’umanità – in un certo senso – del personaggio. Daland è interpretato dal veterano e anch’esso wagneriano Matti Salmien, che ha oltrepassato i cinquant’anni di onorata carriera: la sua voce, certo, non avrà lo smalto dei tempi andati, ma la presenza scenica, la tecnica e l’intelligenza interpretativa sopperiscono perfettamente. Salmien sceglie di marcare in Daland, giustamente, gli accenti di più leggera e avida borghesia, assestandosi su un marcato sillabato, curando le sfumature del canto, in modo da far emergere non in filigrana, ma apertamente il debito di Wagner con figure prototipiche e atteggiamenti canori dell’opera italo-francese: il duetto con l’Olandese del I atto e il suo arioso nel II («Drängst du mich?») ne sono esempi perfetti. L’americana Amber Wagner, che incarna vocalmente la potente opulenza di un ‘soprano’ wagneriano, scolpisce una Senta forse addirittura ben oltre le potenzialità richieste da Wagner stesso al personaggio: la sua voce, infatti, è a dir poco gigantesca, come si sente nella sua celebre ballata del II atto («Traft ihr das Schiff im Meere an»), dove riesce a aprire il mezzo vocale con incredibile velocità e riempiendo la sala, senza obliare però accenti più soffusi (come nel tema della redenzione). Accenti che non dimentica di mettere in campo nemmeno nei successivi duetti del II atto con Erik e l’Olandese, quando servono; a incredibile potenza torna nei penetranti acuti del finale, appena prima di suicidarsi per annegamento e redimere sé stessa e l’amato dannato marinaio. Robert Dean Smith canta il ruolo di Erik, il cacciatore promesso sposo di Senta: ha voce granulosa, non molto potente né particolarmente bella, cosa che toglie certo smalto al ruolo di un tipico tenore amante che Wagner eredita da tanta tradizione precedente. Ma le note ce le ha, da bravo tenore specializzato in ruoli wagneriani: in tal senso, più che il duetto con Senta (II atto), ho forse preferito l’arioso del III in cui vanamente tenta di convincere l’amata a desistere dall’amore per il dannato Olandese («Willst jenes Tags du nicht dich mehr entsinnen»). Semplicemente straordinario lo scandinavo Tuomas Katajala nel ruolo del timoniere: la sua voce piena, turgida, squillante, rende indimenticabile la stupenda marinaresca del I atto («Mit Gewitter und Sturm aus fernem Meer»). Buona la Mary di Tiziana Pizzi.

Una serata di eccellente musica, insomma, che attesta le potenzialità del proficuo rapporto fra Franck e i complessi dell’Accademia, che si spera ancora poter produrre concerti di tale qualità.

foto Musacchio e Ianniello