Le parole dei Tudor

 di Giuliana Dal Piaz

Applausi dal pubblico canadese in un'Anna Bolena in cui spicca la prova di Sondra Radvanovsky, ma si nota anche la diffusa scarsa attenzione per una buona resa del testo italiano.

TORONTO, 3 maggio 2018 - Con l’opera di Gaetano Donizetti, la Canadian Opera Company chiude la Stagione 2017-2018, e lo fa con successo, almeno per quanto riguarda l’apprezzamento del pubblico.

Dello stesso autore, il regista inglese Stephen Lawless ha già prodotto per la COC Maria Stuarda (2010) e Roberto Devereux (2014), con la collaborazione dello scenografo belga Benoît Dugardyn, deceduto da poco. Come nelle due opere precedenti – anche se posteriori dal punto di vista cronologico –, è stata mantenuta l’austera scenografia ispirata al Globe Theatre d’epoca shakespeariana, con una serie di pareti lignee, nove delle quali si spostano a costruire di volta in volta corridoi, la sala del trono, la camera di Anna Bolena nella quale scatta la tragica trappola montata dal Re per disfarsi della seconda moglie.

Donizetti e il librettista Romani si prendono qualche libertà storica, ma nemmeno loro si sarebbero sognati di mettere in palcoscenico la figlia di Anna, quella Elisabetta che sarebbe diventata la grande Elisabetta I Tudor, una bimba di nemmeno tre anni. Un’altra alterazione del libretto che fa pensare a un ammiccamento a realtà contemporanee è il maldestro accenno di stupro della Bolena da parte di Percy, quando la minaccia di questi alla donna riguarda il proprio suicidio non una violenza su di lei, e l’osservazione del Re, “nudi acciar nella mia reggia”, si riferisce alla spada sguainata di Percy e non al pugnaletto del povero Smeton, accorso – pare – a difendere la regina.

Una cosa è certa: sono rare in America del Nord – non così in Asia – le voci veramente eccellenti per timbro e intonazione che possano vantare piena padronanza della pronuncia, come se il libretto non avesse in fondo importanza, tanto ci sono i sopratitoli in inglese per seguire bene l’azione. Un critico locale ha addirittura notato “la stranezza di ascoltare un pezzo della storia d’Inghilterra cantato in italiano”. Tutti sembrano ignorare o dimenticare il fatto che la musica venne composta per quel testo, in simbiosi con esso, e che le parole in lingua originale, cantate in modo appropriato, hanno un loro ritmo e una loro musicalità che completa quella delle note. Mi sembra, in sostanza, che l’autentica comprensione e quasi il senso stesso dell’opera italiana si stiano perdendo, malgrado gli sforzi in senso opposto di compagnie come l’egregia Canadian Opera Company.

La scenografia, la stessa delle altre due componenti della Trilogia Tudor di Donizetti, è austera ma rende bene da un lato la sostanziale solitudine della regina, circondata dal sospetto e dal terrore, e dall’altro lo spirito dell’epoca, con il coro che come il pubblico del teatro elisabettiano occupa le balconate sovrastanti, mentre la pedana del trono viene sospinta in scena o portata via secondo necessità.

Ho trovato eccellente la prestazione del soprano Sondra Radvanovsky, la cui voce spazia da note scure degne di un contralto e da certi piano e pianissimo per i quali è giustamente rinomata, agli acuti estremi, in cui però a volte – ed è l’unico difetto – il timbro si fa un po' stridulo. Ottima la sua interpretazione teatrale di una Bolena complessa, dall’ampio raggio di emozioni.

Non altrettanto posso dire del soprano statunitense Keri Alkema nella parte di Giovanna Seymour, peraltro scritta per un mezzosoprano. La sua pronuncia dell’italiano è incerta, la sua recitazione poco sfumata e totalmente priva, dal punto di vista sia vocale sia teatrale, del fascino sottilmente sensuale che la damigella deve pure aver esercitato su Enrico VIII per ottenerne matrimonio e corona. Non la favorisce peraltro il costume, in tono con l’epoca, ma che ne sottolinea la figura matronale. Il basso-baritono Christian Van Horn (Enrico VIII) è adeguato nel suo ruolo. Figura ragionevolmente imponente, la sua “arroganza” di scena non riesce tuttavia ad esprimere, nel suo brutto italiano, la torva regalità del sovrano Tudor. Il tenore Bruce Sledge (Percy) ha un buon timbro, buona l’aria “Da quel dì che lei perduta”, molto meno il duetto nella camera di Anna Bolena e l'aria del secondo atto: sembra cantare sotto sforzo e negli acuti il suo squillo è poco gradevole.

Buoni interpreti vocalmente e teatralmente il mezzosoprano Alison McHardy, uno Smeton ingenuo e devoto al punto giusto, e il basso-baritono Thomas Goerz , lo sfortunato fratello di Anna, e il tenore statunitense Jonathan Johnson, nella parte di Hervey, l’uomo di fiducia di Enrico VIII.

L’orchestra della Canadian Opera Company, diretta con correttezza ma senza sedurre mente e cuore dal mº Corrado Rovaris. Solo il coro della COC e il suo direttore, Sandra Horst, non deludono mai.

Foto di scena di Michael Cooper

 

ANNA BOLENA – Musica di Gaetano Donizetti, libretto di Felice Romani. Stagione 2017-2018 della Canadian Opera Company (28 aprile-26 maggio 2018). Direttore: Corrado Rovaris. Direttore del Coro: Sandra Horst. Regia: Stephen Lawless. Scenografie: Benoît Dugardyn. Costumi: Ingeborg Bernerth. Luci: Mark McCullough e Reinhard Traub. Orchestra e Coro della Canadian Opera Company.

Personaggi e interpreti:

Anna Bolena – Sondra Radvanosky

Giovanna Seymour – Keri Alkema

Re Enrico VIII – Christian Van Horn

Lord Riccardo Percy – Bruce Sledge

Smeton, musico di Corte – Allyson McHardy

Lord Rochefort, fratello di Anna – Thomas Goerz

Hervey, funzionario di Corte – Jonathan Johnson