Anna Caterina Antonacci e Vittorio Prato

Una donna, due volti

 di Alberto Ponti

Era la più attesa e non ha deluso. Anna Caterina Antonacci sale sul palco in un insolito dittico di atti unici che ne esalta la straordinaria versatilità

1909. Richard Strauss presentava al mondo la sua Elektra, a metà strada tra Sofocle e D’Annunzio, Schoenberg sperimentava le asprissime dissonanze di Erwartung, senza speranza di vederle presto eseguite in pubblico, Puccini lavorava con studio matto e disperatissimo ai paesaggi californiani de La fanciulla del West. In quello stesso anno per musicare versi di metastasiana memoria come ‘Care memorie!/Fresco sorriso/d’un paradiso,/che ci beò’ oppure ‘Sei cattivo… sei tiranno,/senz’amor… senza pietà!’ ci voleva una certa dose di coraggio oppure di incoscienza. Forse Ermanno Wolf-Ferrari, che fin dalla scelta del doppio cognome riuniva nella stessa persona il mondo veneziano della nascita e della vocazione artistica a quello tedesco della formazione musicale, le possedeva entrambe, insieme alla consapevolezza dei propri mezzi. Nei fatti l’intermezzo Il segreto di Susanna, rappresentato all’epoca per la prima volta a Monaco di Baviera, è un lavoro delizioso, traboccante di autentico talento, di grazia raffinata e di verve contagiosa, fin dal brillante contrappunto dell’ouverture, concertata con mano ferma dal giovane direttore Diego Matheuz, a cui va il merito di guidare l’orchestra del Teatro Regio in un’opera certo breve ma dal complesso bilanciamento timbrico, permeata di insidiose trasparenze di scrittura.

La vicenda è assai semplice: Susanna, giovane sposa del conte Gil, rientra spesso a casa con un lieve sentore di tabacco, tanto da indurre nel marito il sospetto dell’esistenza di un amante fumatore. Nasce una divertente commedia degli equivoci destinata a sfociare nella scoperta che il segreto della donna è la sua passione per la sigaretta. La coppia allora, finalmente riconciliata, si dedica al nuovo, comune passatempo intonando ‘Tutto è fumo a questo mondo’, con un’evidente strizzata d’occhio, birichina ma garbata, al finale del Falstaff verdiano.

La partitura di Wolf-Ferrari rispecchia le migliori caratteristiche dell’autore, abile nel ricreare, mediante un’inventiva sempre fresca e spontanea (il breve intermezzo strumentale pare opera di un Mozart redivivo), l’atmosfera scherzosa del libretto di Enrico Golisciani, nonostante alcune insistenze leziose e lungaggini che, se da un lato appesantiscono la melodia, dall’altro, grazie ad un incedere coltamente demodé, ne costituiscono tutto il fascino. Il musicista dimostra infatti, nella cornice di un’orchestrazione ricca di influssi tardo romantici, di conoscere a fondo l’intero repertorio comico da Pergolesi a Donizetti.

L’enorme duttilità della Antonacci come attrice e cantante la rende una Susanna ideale, con risultati eccelsi sia nella linea espressiva del recitativo sia nei ricami quasi belcantistici dell’aria culminante ‘Oh gioia la nube leggera’. Il baritono Vittorio Prato è un Gil agitato da un filo di nervosismo che ne penalizza la resa nel legato della tradizione italiana ma la sua intonazione dei passi più concitati (‘Ah! L’odore fatal sin nella veste!’ e il duetto ‘Ti colgo questa volta!’) presenta sottili sfumature, cangianti vibrazioni appena venate di ruvidezza, in grado di dare al discorso un sapore piccante e coinvolgente, sostenendo alla pari il confronto col soprano protagonista.

Accanto ai due cantanti il servitore Sante, impersonato dal mimo Bruno Danjoux, essenziale agli esiti della trama, sa guadagnarsi anch’egli applausi a scena aperta.

Il filo rosso che unisce il cô più nostalgico di inizio Novecento con l’inquietudine esistenziale del monologo della tragedia lirica La voix humaine di Francis Poulenc è, nello spettacolo del Regio, la regia di Ludovic Lagarde con le scene di Antoine Vasseur e i costumi di Fanny Brouste, secondo l’allestimento originario dell’Opéra Comique di Parigi. Un appartamento contemporaneo, total white e molto ‘international style’, pare l’interno di un parallelepipedo architettato dai nipotini di Philip Johnson e Ludwig Mies van der Rohe e troneggia al centro del palco in entrambi i contesti. Dalla staticità del Segreto con marito e moglie a rincorrersi tra i muri divisori si passa alla visione mobile della Voix: una piattaforma girevole fa ruotare la casa (ora salotto, camera, bagno) in sintonia con le multiformi e sfuggenti sfaccettature della donna sola in scena, che schermi televisivi alle pareti cercano invano di fissare nell’ingrandimento di un volto in lacrime. Suggestive ma spesso esagerate nel contrasto, non esenti da una certa ruffianeria sono le luci di Sébastien Michaud.

Di mezzo secolo successiva al primo titolo, l’opera di Poulenc, tratta da Cocteau, fin dal suo apparire nel 1959 ha fatto ingresso nel repertorio stabile ed è un recente cavallo di battaglia di Anna Caterina Antonacci, chiamata al ruolo di mattatrice assoluta. La cantante emiliana, al culmine della sua condizione, si destreggia in una parte di difficoltà enorme grazie anche a una perfetta padronanza della lingua d’oltralpe, oltre che per le qualità intrinseche di un’emissione vocale precisa nel rispettare nei minimi particolari le indicazioni del compositore. Sussurri, irruzioni da café chantant, bisbiglii, canti parlati, abbandoni lirici nel dialogo solitario di Elle al telefono, sempre accompagnati da un’impressionante precisione metrica (basta aprire una qualsiasi pagina della partitura per rendersi conto del tour de force richiesto al soprano), restituiscono alla platea una performance di altissimo livello, in un personaggio che, nelle stagioni del Regio, avevano osato affrontare solo Magda Olivero, Virginia Zeani e Renata Scotto. La direzione di Matheuz si conferma attenta, in un altro pezzo in cui contano il rigore analitico e la valorizzazione del singolo accordo, senza tuttavia perdere di vista il continuo crescendo emozionale di pari passo con il canto, interrotto solo alle ultime battute con un finale aperto che ciascuno è libero di immaginare.

Alla prima, tra il pubblico numeroso (non da tutto esaurito) tengono banco i discorsi sul cambio al vertice, con l’addio di Walter Vergnano nelle scorse settimane, sostituito dal nuovo sovrintendente William Graziosi. Non traggano in inganno i celebri versi gozzaniani, che pure a suo tempo aveva visto giusto: ‘un po’ vecchiotta, provinciale, fresca/tuttavia d’un tal garbo parigino’. Torino è una città difficile, esigente, tanto più quando ci si avvicina all’eccellenza, in cui, per usare una metafora calcistica, oltre al risultato, bisogna esprimere un bel gioco; allo stesso modo, sa essere assai generosa con chi si dimostra meritevole.

Il calore della lunga ovazione al termine della serata può avere una sola interpretazione: Anna Caterina Antonacci vince e convince.

foto Ramella Giannese