Attrazione fatale

 di Andrea R. G. Pedrotti

Felice chiusura della stagione lirica al teatro Filarmonico con una nuova produzione del capolavoro di Strauss encomiabile da ogni punto di vista. Si fanno apprezzare sia l'allestimento firmato registicamente da Marina Bianchi, sia l'eccellente bacchetta di Michael Balke e un'ottima, omogenea, compagnia di canto capitanata da Nadja Michael nel ruolo eponimo.

Estratti video dalla prima

VERONA, 20 maggio 2018 - La vicenda di Salome si può a bene titolo definire un’attrazione fatale; fatale perché ciò che si narra è un Liebestod privo di elegia. Afrodite Urania non fa mai capolino fra i biblici personaggi narrati prima da Oscar Wilde, poi da Richard Strauss, tuttavia impera Afrodite Pandemia, il cui epiteto etimologicamente ci rammenta come questo sia il concetto d’amore comune a ognuno e, a questo proposito, non possiamo far a meno di notare come spostando l’accento del medesimo epiteto sulla penultima sillaba (quindi Pandemìa) il richiamo all’incontrollato dilagar d’un morbo (il morbo d’Afrodite) in questo caso appaia palese.

L’attrazione di Salome verso Jochanaan è violenta pulsione priva di sentimento: ella è attratta dalla saggeza racchiusa nel corpo d’un giovane uomo che vorrebbe portare alla via della perdizione carnale, ma fallisce ed è costretta farlo decapitare poiché l’attrazione totalizzante della donna investe corpo e mente, non è un trastullo, una questione d’orgoglio, una questione di possesso o prevaricazione, come sarebbe per un uomo. Quella di Salome è una brama fine a se stessa, che appaghi all’unisono anima ed eros, quella brama che un maschio non potrebbe mai vivere o comprendere appieno.

Piace, nella rappresentazione veronese, il modo in cui il nuovo allestimento firmato da Marina Bianchi sottolinei tutto questo. Salome non è mai ammaliante o seducente, ma è prevaricante nel corteggiamento e ferita nella propria sicumera nel sentirsi respinta con tale sdegno da Jochanaan, quanto sprezzante nello scostare il cadavere di Narraboth, suicida per lei.

La danza dei sette veli non ha volutamente sensualità. Salome si veste di bende e stracci dopo il rifiuto di Jochanaan: ha perso la testa e si chiude in se stessa (com’è ben comprensibile dal libretto) fino ad aver occasione dal patrigno, Erode, di poter possedere il profeta e ottenere il bacio che tanto ardentemente aveva desiderato.

Durante il ballo che nulla ha di fascinoso nelle movenze, ma molto di una pulsione che da erotica si fa omicida, Salome danza assieme a Erode, che spoglia lentamente dei cenci indossati poco prima la figlia di Erodiade, alienata, assente, avulsa da ciò che le accade attorno.

La scenografia, curata da Michele Olcese, presenta una scalinata che conduce a un praticabile e alla cisterna dov’è imprigionato Jochanaan. Sulla destra alcune colonne fanno da porticato prima all’ingresso del palazzo di Erode, poi da sostegno per le sale del palazzo stesso. I costumi di Giada Masi inquadrano la vicenda in un’ambientazione neoclassica in collegamento fra antico e moderno. Erode ed Erodiade indossano abiti di foggia romana, le guardie hanno divise e lunghi cappotti da inizio del XX secolo, eccezion fatta per coloro demandati alle condanne capitali, anch’essi in abiti più vicini all’epoca della dominazione romana della Giudea. I cinque giudei sono vestiti da Haredim contemporanei.

Eccellenti le luci di Paolo Mazzon e le proiezioni di Matilde Sambo, capaci di rendere l’evoluzione psicologica di Salome assecondando la drammaturgia. Utili anche i movimenti mimici di Riccardo Meneghini, che grazie all’ausilio di tre tersicoree principali sottolineano i mutamenti dell’animo della protagonista da un lato, dall’altro conferiscono dinamicità a un’opera che rischierebbe di apparire troppo statica.

Sorride anche la arte musicale, con l’ottima Salome di Nadja Michael, la quale porta sul palcoscenico del Filarmonico tutta la grande esperienza nel ruolo, offrendo al pubblico veronese una prova di alto livello vocale e interpretativo. Al suo fianco l’eccellente Erodiade di Anna Maria Chiuri, convincente musicalmente e attrice di classe.

Ben figuravano l’Erode di Kor-an Dusseljee (ottimo attore e buon cantante) e lo Jochanaan di Frederik Zetterström.

Completavano il cast Erico Casari (Narraboth), Bélen Elvira (Un paggio di Erodiade), Nicola Pamio, Pietro Picone, Giovanni Maria Palmia, Paolo Antognetti, Oliver Pürckhauer (Cinque Giudei), Romano Dal Zovo, Stefano Consolini (Due Nazareni), Costantino Finucci, Gianfranco Montresor (Due soldati), Alessandro Abis (Un uomo della Cappadocia) e Cristiano Olivieri (Uno schiavo).

Alla guida dell’orchestra areniana convince senza riserve la concertazione di Michael Balke, capace di esaltare sfumature e raffinatezze di una partitura straordinaria, ma che necessita di una guida solida e un’interpretazione efficace che trasmetta tutta la carica emotiva del dramma e del testo musicale. Probabilmente una delle migliori direzioni ascoltate al Filarmonico negli ultimi due anni.

Al termine applausi che sarebbero potuti esser ancor più calorosi da parte di un pubblico attento, ma purtroppo, non numeroso come la bellezza del titolo e la qualità della rappresentazione avrebbero meritato.

©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona.