L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Manrico nella Repubblica senese

 di Andrea R. G. Pedrotti

Nella suggestiva piazza del Duomo di Massa Marittima torna l'opera con Il trovatore verdiano. Omogenea e soddisfacente la resa musicale, sotto la direzione di Maurizio Morgantini, in cui spicca il Manrico di Antonino Interisano.

MASSA MARITTIMA, 3 agosto 2018 - Torna a Massa Marittima, per la sua XXIII edizione, il festival Lirica in piazza; ai piedi della cattedrale cittadina, ogni estate, viene allestito un palco di forma triangolare, posto sulla cima delle scalinate e costeggia il lato sinistro del fianco sinistro del Duomo.

Quest’anno, per l’inaugurazione, è stato scelto di allestire Il trovatore, un’opera che, visto il luogo, non necessiterebbe nemmeno un impegno particolare dal punto di vista scenografico; infatti, l'atmosfera medievale ci è rammentata dalla Balzana, dallo stemma del capitano del popolo e dalla lupa, posta su una colonna avanti a noi e che, dal posizionamento di Romolo e Remo, ci mostra di non essere romana sotto di essa, bensì senese. I trovatori erano menestrelli medievali e proprio il grossetano fu per la gloriosa Repubblica senese (ultimo comune libero a finire, non senza combattere, sotto il giogo fiorentino nel 1555 con la resa dell’eroica Montalcino) il fondamentale sbocco sul mare.

Forse oggi la città maremmana non rappresenta più l’importanza strategica che ebbe in epoca medievale, ma certamente deve il suo fascino a quell’epoca.

Parlando dello spettacolo visto il 3 agosto, è proprio la parte visiva a pagar pegno, a causa di una scenografia composta da due grandi pilastri grigi laterali e un fondale, della medesima tinta, che parrebbe il fondo di una grotta. Poco, pochissimo, spazio per gli interpreti e pare di osservare una forma semiscenica, che eccede nella maniera quando i movimenti appaiono palesemente studiati dal regista: per esempio potremmo citare il duello a rallentatore fra Manrico e il conte di Luna al termine del terzetto con Leonora "Di geloso amor sprezzato", un isolato tableau vivant in una scena successiva o l’ingresso in scena di tre sbandieratori, non appena il coro principia a intonare “Squilli, echeggi”, la cui presenza, indipendentemente da qualsiasi considerazione drammatica, limitava il contatto visivo fra maestro concertatore e coristi, fondamentale anche considerato che la Piazza principale di un centro storico con permette prove in loco.

I costumi sostanzialmente tradizionali insistevano su delle tinte scure, a eccezione dell'abito di Leonora. Trucco piuttosto leggero quasi per quasi tutti gli interpreti, con la sola Azucena a presentare un viso vistosamente sbiancato.

Nel complesso del cast vocale chi ha maggiormente convinto, nell'ambito di una compagnia equilibrata, è stato il Manrico di Antonino Interisano, dotato di bell’accento verdiano e squillo pregevole. Il tenore appare l’interprete con maggior padronanza stilistica del ruolo, nonché tecnicamente padrone del mezzo vocale e attento all’uniformità d’emissione nei registri. Particolarmente apprezzabile la precisa esecuzione delle quartine nella cabaletta di “Ah, sì ben mio”.

Accanto a lui, Paola Di Gregorio (Leonora) palesa doti da lirico drammatico, che prestato a un ruolo più lirico si fa preferire in un cantabile ben fraseggiato, specialmente per quanto riguarda la prima parte dell’aria “D’amor sull’ali rosee” e il recitativo immediatamente precedente. Sarebbe interessante ascoltare il soprano in ruoli del repertorio verista, più adatti alla sua vocalità.

Bene il Conte di Luna di Carmelo Corrado Caruso, molto attento musicalmente e dotato di un discreto fraseggio. Il baritono non incontra particolari difficoltà nell’affrontare una parte che anticipa d’un giorno l’Escamillo che lo vedrà impegnato nella serata del 4 agosto, nella medesima piazza.

Passionale e vocalmente corretta l’Azucena di Anastasia Pirogova, assai partecipe al dramma e musicalmente a suo agio nel registro centrale e acuto.

Carlo di Cristoforo è un buon Ferrando, capace di rendere con precisione e bel fraseggio il ruolo.

Completavano il cast Guido Bernoni (Ruiz), Arianna Castelli (Ines), Andrea Scorsolini (Un vecchio zingaro) e Andrea Di Gregorio (Un messo).

L’orchestra dell’Impresa Europa Musica, diretta dal m° Maurizio Morgantini, offre una buona prova e un buon amalgama fra le sezioni (bene in particolare ottoni e legni). La linea impartita dal concertatore prevede (come logico all’aperto) una maggior modulazione nella dinamica rispetto all’agogica. Belli alcuni pianissimi degli archi (in “Il balen del suo sorriso” e in “D’amor sull’ali rosee” particolarmente), così come lo sfogo di intensità nel finale del secondo atto.

Il coro diretto dal m° Renzo Renzi (anche direttore artistico della manifestazione) si fa preferire nella componente femminile grazie a una vocalità complessiva più corposa, mentre gli uomini, comunque coesi e precisi musicalmente, palesano un timbro più chiaro e meno avvolgente.

La regia era affidata a Gianmaria Romagnoli, il direttore di scena era Teresa Gasperi, l’aiuto regista Manuela Montanaro, il maestro collaboratore Massimiliano Franchina, il maestro di palcoscenico Jongrey Kwag, il Capo macchinista Bruno di Venanzio e il datore luci Emanuele Lepore.


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