Sulla topolino amaranto

 di Alberto Ponti

Il secondo titolo della stagione del Regio recupera l'allestimento dell'edizione 2013 e si distingue per l'attenta direzione di Michele Gamba. Di buon livello la compagnia vocale.

Leggi la recensione del cast alternativo (Drei, Zambrano, Marrucci, Orfila): Torino, L'elisir d'amore, 16/11/2018

TORINO, 21 novembre 2018 - Per penetrare il segreto dell'Elisir non esistono forse parole migliori di quelle dello stesso Donizetti che ebbe a dichiarare, in merito ai quindici quartetti per archi composti durante l'apprendistato giovanile con Giovanni Simone Mayr, d'aver appreso a 'risparmiare la fantasia e condurre un pezzo con poche idee'. Perchè se è vero che il fascino dell'opera risiede nell'inesauribile freschezza inventiva che la pervade dalla prima all'ultima nota, è vero anche che tale miracolosa spontaneità è ottenuta con un equilibrio e un'economia di mezzi esemplari.

La concertazione di Michele Gamba, atteso ancora alla prova del medesimo titolo nell'imminente stagione scaligera, ne sa tener conto, evidenziando con sicura visione musicale i rimandi strutturali interni alla partitura e preoccupandosi di ottenere un suono omogeneo e limpido dalle sezioni dell'orchestra del Regio. Certo, talvolta a mancare è la verve brillante connaturata ai passaggi più accesi, che rischiano di scivolare via con il gusto di un compito ben fatto ma che, al di sotto della indubbia pulizia delle frasi, lasciano la sensazione di un affondo poco graffiante nel tessuto donizettiano. La bacchetta del giovane maestro milanese è comunque una sorpresa ottima di questa edizione ed emerge per serietà interpretativa e capacità analitica, nonostante la perplessità suscitata da un gesto efficace, in sintonia con cantanti, coro (sempre notevole e istruito da Andrea Secchi) e strumentisti, ma spesso irruento, ai limiti del caricaturale. Tra la mano sinistra in tasca di Richard Strauss e l'ebbrezza dionisiaca di Leonard Bernstein vi possono essere infinite sfumature di stile nel dirigere dal podio ma nessuna dovrebbe apparire fuori misura con la personalità della guida. Nel caso di Gamba gli occhi di chi guarda paiono per lunghi momenti mettere a fuoco una cosa diversa da ciò che, per fortuna, le orecchie ascoltano. Un po' come quegli sportivi non belli a vedersi in gara ma in grado comunque di portare a casa ottimi tempi.

L'allestimento del Teatro Regio, che ambienta la vicenda di Adina e Nemorino nell'Italia degli anni cinquanta, è collaudato e gradevole, vivacizzato dai costumi di Alessandra Torella, anch'essi a tratti eccessivi: più che dalle pellicole del neorealismo, citate dal regista Fabio Sparvoli nella sua intervista con Susanna Franchi 'Pane, amore ed Elisir' riportata nel volume del teatro con il libretto, le donne in particolare sembrano sbarcate da uno dei primi allegri torpedoni provenienti dall'est Europa dopo la caduta del muro di Berlino. L'idea di Sparvoli però funziona e non manca di produrre effetto su un pubblico che, pur consapevole della prevedibilità delle trovate in un testo tanto celebre, è pronto a lasciarsi conquistare una volta di più. Le scene di Saverio Santoliquido e le luci di Andrea Anfossi non brillano di primo acchito per originalità ma si rivelano alla prova dei fatti funzionali, ammantando la favola rustica imbastita da Felice Romani di una poesia semplice ma non ingenua. Lo spettacolo in alcuni punti rinvia perfino a una sottile ironia quasi gozzaniana: come non pensare, allo stesso modo delle 'tue vesti quasi campagnole', de 'i bei capelli di color di sole' della signorina Felicita, che dietro a versi in apparenza triti come 'Quanto è bella, quanto è cara!' oppure 'Eccellenza! Troppo onor, io non merto un senator.' vi sia in realtà parecchio altro? Un conto è percepirlo a una lettura meditata, un altro è farlo sentire tra il turbinio delle comparse sul palcoscenico, e di questo bisogna render merito.

La compagnia di canto principale può contare su una coppia di protagonisti dall'innato impatto attoriale. Lavinia Bini e Giorgio Berrugi si muovono con scioltezza, dando luogo a spunti e situazioni che suscitano, in tal capolavoro comico, il sorriso benevolo e indulgente della platea. La Bini è un soprano di buona tecnica: l'emissione è sostenuta, rotonda e calibrata, appena opaca nel registro più acuto, e dà il meglio di sè nei numerosi passi in cui viene affiancata dagli altri personaggi, quali l'introduzione, i duetti con Dulcamara e Nemorino, il complesso finale dell'atto primo. Berrugi, che ci era parso ottimo Rodolfo nella Bohème inaugurale della scorsa stagione subapina, conferma la propria versatilità anche nel ruolo di Nemorino. Il suo timbro tenorile non stentoreo calza alla perfezione con le fattezze dello spasimante timido e impacciato, destinato tuttavia a sfoderare in corso d'opera inaspettate risorse. Il cantante dimostra finezza psicologica e duttilità vocale, che gli consentono di superare gli scogli e del buffo e del patetico, con dovuti applausi a scena aperta dopo la notissima romanza 'Una furtiva lagrima', condotta con controllato lirismo e sincera espressione.

Il dottor Dulcamara, ricoperto nella recita del 21 novembre da Simón Orfila, sbarcando da un'utilitaria che richiama irresistibilmente alla memoria la canzone di Paolo Conte, sa mettere sul tappeto con convincente eloquenza e perfetta intonazione tutto l'apparato predisposto da Donizetti, ed è un vero e proprio percorso ad ostacoli, per il baritono imbonitore, coadiuvato dal mimo Mario Brancaccio. Meno persuasivo ci pare il sergente Belcore impersonato dall'altro baritono Julian Kim: presenza disinvolta e voce potente ma meno agile e ricca di sfumature rispetto al resto del cast, completato dalla brava Ashley Milanese nella parte sopranile di Giannetta, spumeggiante spalla di Adina.

Buona affluenza in sala e successo per tutti.