Patricia Kopatchinskaja

Ligeti, tormento e bellezza

 di Alberto Ponti

Due interpreti di talento, giovani ed entusiasti, aprono l'edizione 2018 di 'Rai NuovaMusica' con capolavori del pieno XX secolo

TORINO, 19 gennaio 2018 - Un pubblico numeroso, infrequente per gli standard del repertorio contemporaneo, e composto in larghissima parte da giovani ha occupato venerdì 19 gennaio la platea dell'auditorium 'Toscanini' per il primo appuntamento del ciclo di tre concerti 'Rai NuovaMusica 2018'. All'interno di una programmazione notevole per fascino e intelligenza, quest'anno incentrata su opere assai note di grandi autori a partire dalla seconda meta del Novecento, l'esordio della rassegna era affidato al Concerto per violino e orchestra (1992) di György Ligeti (1921-2006) nell'esecuzione di un'autentica star del calibro di Patricia Kopatchinskaja sotto la direzione di Aziz Shokhakimov. La quarantenne violinista di origine moldava ha reso questa pagina, già affrontata tra l'altro alla Scala e con i Berliner Philarmoniker guidati da Simon Rattle, uno dei suoi cavalli di battaglia, e lo si comprende dalla personalità spiccata, dall'impeto travolgente con cui viene reso ogni singolo passaggio di una scrittura disseminata da capo a coda di difficoltà letteralmente trascendentali. Non staremo a soffermarci sul controllo sovrano di ogni aspetto della tecnica del suo strumento, sulla capacità di passare all'istante dal flebile sussurro, ai limiti della percettibilità, allo staccato in grado di saturare lo spazio sonoro al pari dell'esplosione di un fuoco d'artificio, di inanellare passaggi a velocità sbalorditiva per poi immergersi in oasi di delicata cantabilità, lasciando l'uditorio col fiato sospeso come di fronte a uno spettacolo magico e terribile allo stesso tempo. L'universo poetico di Ligeti, toccato in prima persona come ebreo ungherese dalle tragedie inenarrabili del secondo conflitto mondiale, ha d'altronde il potere di far vibrare le corde più intime e recondite del nostro animo, evocando la bellezza di distanti tenerezze anche sotto una cappa di pessimismo cupa e opprimente. La guida senza bacchetta del giovanissimo direttore uzbeko, classe 1988 ma con un curriculum internazionale di tutto rispetto, è attenta e partecipe, in una composizione che centellina l'organico orchestrale a una manciata di presenze in ogni sezione, spesso chiamate a cambi di geniale originalità (l'oboe, i due clarinetti e il fagotto si alternano con quattro inquietanti ocarine all'unisono), passando attraverso cinque concisi movimenti rivelatori di una somma maestria costruttiva culminante nell'intensa Passacaglia a precedere l'Appassionato finale, con la sua cadenza fatta apposta per strappare un'ovazione di elettrizzato entusiasmo. Ripetute chiamate in scena della Kopatchinskaja conducono ad un brillante duetto con la 'spalla' dell'OSN Rai Alessandro Milani in Baladă și joc (Ballata e danza), giovanile pezzo per due violini dello stesso Ligeti.

Eseguita a seguire, la Sinfonia n.1(1973) del polacco Krzysztof Penderecki (1933), tra i massimi autori viventi, sarebbe in grado, al primo ascolto, di trasmettere a chiunque la profonda bellezza che si può ancora trovare tra la musica degli ultimi decenni. Concepito in quattro movimenti destinati a susseguirsi senza soluzione di continuità, il brano si espande a partire da una serie di isolati colpi di frusta, incipit tra i più memorabili della letteratura sinfonica, l'eco dei quali è destinato a tornare nel finale, lontano ricordo e insieme chiusura del cerchio. La sfida di elevare un edificio di perfetta coerenza formale ed emozionale senza ricorrere al minimo intervallo melodico ma valorizzando in senso assoluto il solo colore sonoro riesce in pieno tramite un discorso di monolitica compattezza. Infuocati cluster, fruscii, note strozzate degli ottoni, dense figurazioni percussive, accostamenti esasperati di bassi e acuti, ogni elemento è dotato di una propria precisa fisionomia e al contempo inserito in un continuum dove acquista significato drammatico e narrativo.

La sala accoglie con rapimento le inesauribili sorprese di Penderecki, e il trascinante e sincero successo per tutti gli interpreti non può essere augurio migliore per l'apertura di una rassegna che dimostra una volta di più quanto i contemporanei non siano altro che le fronde estreme del robusto albero, in lenta ma continua crescita, nel cui tronco scorre la linfa dei classici del passato.