Apoteosi di Bruckner

 di Alberto Ponti

Un'accoppiata di interpreti di alto livello affronta due capisaldi del grande repertorio

TORINO 2 marzo 2018 - Secondo un famoso aneddoto Anton Bruckner (1824-1896), dopo la prima della sua quarta sinfonia Romantica nel 1881 con i Wiener Philarmoniker sotto la guida di Hans Richter, offrì un tallero al direttore per farsi una bevuta e celebrare in questo modo il successo dell'esecuzione. L'episodio rende bene il carattere semplice di un uomo di estrazione rurale, rimasto sempre estraneo ai riti sociali della raffinata Vienna, che d'altronde lo ripagò con poca considerazione, se si eccettuano alcune attestazioni di stima e isolate acclamazioni nell'ultimo periodo della sua carriera di compositore.

La bonomia un po' naïf della persona non deve però trarre in inganno nei confronti di una musica di straordinaria ricchezza e complessità, che fa di Bruckner uno dei massimi protagonisti della scena musicale austro-tedesca della seconda metà dell'Ottocento. Stanno a dimostrarlo le sue sinfonie, rimaneggiate dall'autore in più versioni a tal punto da rendere difficile una lezione definitiva, spesso individuata a posteriori da studiosi come Haas e Nowak. Anche la grandiosa Quarta, unica a riportare un soprannome ufficiale, non sfugge alla regola: alla prima versione del 1874, all'epoca non eseguita, ne seguirono almeno altre due, di cui la seconda (1878-1880), a giudicare dalla strumentazione con l'aggiunta di una tuba, ma senza il terzo flauto e i piatti presenti nell'ultima revisione, è stata quella scelta da Claus Peter Flor sul podio dell'Orchestra Sinfonica Nazionale giovedì 2 e venerdì 3 marzo.

Il maestro nativo di Lipsia, direttore principale a partire da questa stagione dell'orchestra 'Giuseppe Verdi' di Milano ha regalato al pubblico torinese, entusiasta ma non così numeroso come l'occasione avrebbe meritato, una lettura intensa e fiammeggiante, intrisa di una varietà di colori ardita e inaspettata, frutto di una conoscenza profonda, tangibile della partitura e dell'universo del suo autore. A colpire fin dall'apertura è il senso della forma, mai smarrito nelle pieghe delle mille parentesi in apparenza divagatorie, degli esaltanti crescendo spalancati su pause improvvise, in realtà tasselli imprescindibili di una narrazione che si accresce misura dopo misura fino ad erigere un monumentum aere perennius in cui l'oraziana lucente compattezza si fonde con un senso della natura nordico e misterioso. Nonostante qualche lieve manchevolezza, il suono degli ottoni, essenziali nella riuscita di questo repertorio, si mantiene pieno e calibrato, addirittura sfolgorante nel finale del primo movimento, Bewegt, nicht zu schnell e nei passi di maggior enfasi del celebre Scherzo. Sarebbe tuttavia ingeneroso non citare le altre sezioni strumentali, con l'ininterrotto dialogo tra archi e legni, entrambi impeccabili, nell'Andante, quasi allegretto,a rendere i trasalimenti segreti di fronte ai mondi celesti che il misticismo latente di Bruckner evoca in metafisica estasi.

A fronte dello scavo nello spessore materico della Romantica, la mano di Flor si mantiene invece sul piano di un'aerea pittura all'acquerello nel concerto per pianoforte n. 4 in sol maggiore op. 58 (1808) di Ludwig van Beethoven (1770-1827), presentato insieme al solista Alessandro Taverna. Il più bucolico dei concerti del genio di Bonn libera così tutta la sua vena lirica interiore grazie a un pianismo assai rispettoso delle intenzioni compositive, scevro da licenze, controllato nell'eloquio, abile nel tratteggio dei chiaroscuri che improntano l'iniziale Allegro moderato. Il tocco di Taverna diventa scarno ai limiti dell'essenziale nel breve Andante con moto di drammaticità gluckiana, per espandersi infine in un virtuosismo di morbida scioltezza nel rondò Vivace. É mancata forse al trentacinquenne interprete, che ha già percorso molti gradini di un'importante carriera internazionale, una personalità più spiccata nei passi di scoperto protagonismo e in primo luogo nelle due cadenze dell'opera, condotte con brillante sicurezza non disgiunta, a dire il vero, da un certo distacco. Certo egli eccelle nelle delicate cesellature, pure presenti con dovizia in Beethoven, evidenti soprattutto nel preludio op. 32 n. 5 di Sergej Rachmaninov concesso come bis tra gli applausi della sala.