Furori d'oltremanica

 di Alberto Ponti

 

Dvořák, Rachmaninov ed Elgar per un'accoppiata di interpreti britannici tra i più noti a livello internazionale

TORINO, 12 aprile 2018 - Stephen Hough ha l'aspetto di un tranquillo inglese di mezza età, il rassicurante e cortese sorriso della comparsa di un film di Hitchcock. Sedendosi alla tastiera, dopo avere regolato con cura l'altezza dello sgabello, dà l'impressione di non stare per compiere nulla di straordinario, come un suddito di Sua Maestà che si accinga a prendere servizio al proprio posto di lavoro. Quando però l'irruenta fanfara di clarinetti, fagotti e corni, tosto seguita da una scintillante cascata di terzine del pianoforte in fortissimo, strappa all'improvviso il sipario sul primo concerto di in fa diesis minore op. 1 (1891) di Sergej Rachmaninov (1873-1943) Hough si rivela per un autentico mostro sacro del pianismo contemporaneo. Il suo tocco trascendentale si concretizza in un suono di consistenza unica, sintesi di cantabilità e potenza, precisione e dolcezza. Non vi è in lui nulla di sforzato, di teatralmente calcato, anche quanto la scrittura del giovane Rachmaninov potrebbe suggerirlo (la versione definitiva del concerto uscì tuttavia solo nel 1919, dopo una più meditata revisione), ma ogni nota ha una sua profonda bellezza, vibra di intima emozione, all'interno di una cornice di virtuosismo sempre spettacolare e travolgente. Il Vivace, primo movimento, è un gioiello di pathos crescente condotto, grazie all'intesa immediata con il connazionale Mark Elder alla testa dell'Orchestra Sinfonica Nazionale, sul filo della massima intensità fino alle battute finali, con il fulminante arresto in accelerando sulla tonica che varrebbe da solo il prezzo del biglietto. Nel sognante Andante e nell'Allegro vivace conclusivo le mani di questo solista, che è anche compositore, scoprono, pur in un pezzo molto conosciuto, tesori non sempre evidenziati a dovere: il passo dopo l'esposizione del tema principale del tempo lento dimostra, nello spazio di un attimo che dà l'illusione dell'infinito, la sensibilità musicale raffinatissima di chi sa distendere su di sé un lieve velo d'ombra per dare maggior risalto al magnifico motivo di quattro note discendenti del fagotto nel registro acuto. Gli applausi di speciale partecipazione provenienti da ogni settore dell'auditorium 'Toscanini' conducono all'esecuzione fuori programma della celebre Humoresque op. 101 n. 7 di Antonin Dvořák (1841-1904), nel nome del quale si era aperto il concerto. Il poema sinfonico Holoubek (La colomba selvatica) op. 110 (1898), ispirato a una tristissima e torbida vicenda narrata dal poeta Karel Jaromír Erben (una sposa uccide il marito per risposarsi con un altro giovane poi, tormentata dal lugubre canto di una colomba che si posa ogni sera sulla tomba del coniuge, si uccide per il rimorso), non è forse tra le migliori pagine dell'autore ceco ma si caratterizza per taluni impasti timbrici di notevole originalità, che, soprattutto nella marcia funebre iniziale, sembrano quasi anticipare il Mahler della Quinta sinfonia.

L'abilità di Elder trova infine la sua consacrazione nelle splendide Variazioni su un tema originale (Enigma Variations) op. 36 (1899) di Edward Elgar (1857-1934). Fiumi di inchiostro sono stati versati per ricostruire la genesi del motivo generatore dell'opera, tenuto nascosto dallo stesso Elgar, e per il quale sono state proposte le ipotesi più fantasiose. L'aura di mistero può avere contribuito alla popolarità del lavoro ma nulla toglie alla grandezza di uno tra i più ispirati capisaldi del repertorio sinfonico inglese a cavallo tra Otto e Novecento. Alla bacchetta d'oltremanica, attuale direttore musicale della Hallé Orchestra di Manchester, va ascritto il merito di una direzione generosa ma ben bilanciata nell'economia strutturale della composizione. Ogni facile sentimentalismo è bandito dalla celeberrima variazione IX (Nimrod) così come dalla XIII (Romanza), nel contesto di una sonorità regalmente tardoromantica. E se nell'Intermezzo il lieve gioco dei legni è condotto all'insegna di un'asciuttezza che ne valorizza i minimi dettagli dinamici, il trionfale finale, concertato con rigoroso rispetto della partitura (esemplare il crescendo in sforzando degli ultimi accordi), mette in luce il peso specifico di un gruppo di musicisti capace di adattarsi agli stili più diversi e di regalare ancora una volta una serata memorabile, suggellata dai numerosi 'bravo' piovuti dalla galleria e da oltre cinque minuti di entusiastiche ovazioni.