alessandro cadario

Also sprach Beethoven

 di Antonino Trotta

 

Dopo il cambio di programma nel penultimo appuntamento della raffinata stagione concertistica, Alessandro Cadario guida l’Orchestra e il Coro del Teatro Regio di Torino in un percorso a ritroso che da Verdi approda a Beethoven.

Torino, 20 Maggio 2018 – Nella storia del pensiero contemporaneo nessuno più dei tedeschi ha saputo enfatizzare il legame tra la musica e l’uomo: da Schopenhauer a Nietzsche, tutti i grandi pensatori romantici hanno valorizzato questa incorporea entità come pura immagine della volontà umana, libera da ogni vincolo fenomenologico e soggetta alle sole leggi della carnalità e dell’intelletto. La musica è dunque l’uomo nella sua più alta traduzione di sé, è l’ordine a cui la ragione assoggetta il caos interiore, è la stella danzante che abita lo spirito umano ma brilla nelle sale da concerto. Al Teatro Regio di Torino in questo caso, dove, in occasione del penultimo appuntamento della stagione concertistica, Alessandro Cadario è chiamato a popolare il firmamento musicale con pagine dalla bellezza contrastante che nella serrata dialettica tra Apollineo e Dionisiaco brillano di bagliori superomistici. Dopo il cambio di direttore e di programma – per questo concerto era previsto in origine l’Elia di Mendelssohn diretto da Pinchas Steinberg – dal baule del Teatro Regio riaffiorano la Settima Sinfonia di Beethoven e i Quattro Pezzi Sacri di Giuseppe Verdi.

Della Settima Wagner, con massima cognizione di causa, scrive: «Questa sinfonia è l’apoteosi della danza; la danza nella sua suprema essenza, la più beata rappresentazione del movimento del corpo». Étoile del sinfonismo, Beethoven impregna queste pagine di iridescente vitalità: l’invenzione ritmica, che nel giro di dieci anni raggiungerà la sua massima espressione nell’ultima sonata per pianoforte, è colonna portante di un gioco fatto di nevrotiche pulsazioni, estasi meditative, movimentazioni vorticose e specularità timbriche. Nella generosa opulenza della partitura appare spaesata la concertazione di Cadario, poco efficace nell’approfondimento dell’intrinseca bellezza del tramaglio orchestrale. La bacchetta plumbea del maestro varesino obbliga la compagine strumentale ad arcate profonde che penalizzano l’ebrezza del materiale sinfonico e appesantiscono le galoppanti riprese del primo movimento. Se da un lato si apprezza l’ampiezza del ventaglio coloristico e l’attenzione alle pause teatrali, dall’altro l’eccessiva predisposizione al forte genera una saturazione dell’orchestra che pialla le puntature drammatiche dei vari episodi. Viene meno l’importanza del dettaglio ritmico, sgretolato dal peso della morsa rigida del tempo. L’irruente fluire del battere non lascia spazio, nel secondo movimento, ad alcuna accentazione espressiva e la lugubre metrica, comune ad alcune delle più famose marce funebri (è immediato il raffronto con il secondo movimento della sonata no.2 di Chopin), scorre vie inanimata. Periclitante è anche la proporzionalità tra le varie sezioni, spesso molto squilibrate. L’eccessiva rapidità dell’ultimo movimento, legittimata in parte dal violento spirito dionisiaco che abita queste caotiche pagine, sacrifica la nitidezza delle volate degli archi e nel travolgente impeto dell’orchestra scompare la trionfale fanfare degli ottoni. Solo il rossiniano crescendo della coda conclusiva regala un momento di coinvolgente eccitazione e trascina il pubblico in una vera ovazione.

Eccellente la prova del Coro del Teatro Regio di Torino nei Quattro Pezzi Sacri di Giuseppe Verdi. Nonostante la mestizia dei tempi staccati, si preserva ovunque un’intonazione perfetta, si intavolano dinamiche ampie e sfumate e si garantisce un’eccezionale omogeneità timbrica. Egregiamente preparato dal maestro Andrea Secchi, il coro è capace tanto di interminabili e morbidi pianissimo quanto di torrenziali emissioni in grado di fronteggiare l’orchestra nel cuore delle più irruenti deflagrazioni sonore. In quest’occasione Cadario regola con scaltrezza lo scontro tra i due colossi del Regio, perfettamente compenetrati e amalgamati nello Stabat Mater e nel Te Deum, chiuso con un’eterea e interminabile dissolvenza. Preciso il breve intervento solistico di Caterina Borruso nell’ultimo pezzo sacro.

Il folto pubblico tributa calorosi applausi, indistintamente, ai vari protagonisti. All’indomani del tour che porterà al Teatro Mariinskij di San Pietroburgo questo stesso programma, facciamo in sincero in bocca al lupo a tutta l’intera compagnia.