L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Di concerto in concerto

 di Roberta Pedrotti

 

Si alternano a ritmo serrato vari appuntamenti concertistici nella cornice del Cantiere d'Arte di Montepulciano: da Bach al contemporaneo, dalla chitarra all'orchestra sinfonica, da mezzogiorno a mezzanotte, dalla piazza al palazzo di giustizia.

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MONTEPULCIANO, 13-14-15 luglio 2018 - Le giornate a Montepulciano sono punteggiate da concerti d'ogni sorta, dal solista all'orchestra sinfonica, fra diversi generi. Così, prima della prima dell'Impresario in angustie, Piazza Grande si anima grazie alla Banda Poliziana e alla banda di Rieti, ma, soprattutto, il giorno seguente si apre il piccolo ciclo Bach+, dedicato ai concerti per due, tre o quattro tastiere affiancati da pagine del XX e XXI secolo. Giovanissimi i pianisti che si alternano per questo primo appuntamento: Giacomo Margheriti, Jacopo Micheli, Massimiliano Cuseri e Matteo Guasconi. Giovanissimi gli strumentisti degli Archi Poliziani. Giustamente orgogliosi i tutor Roland Boer e Alessio Tiezzi.

Se i pianoforti privi di copertura in una sala, l'auditorium Giovanni Falcone ricavato dall'ex aula di tribunale, dall'acustica piuttosto generosa offrono di primo acchito un Bach più rigoglioso e meno terso del solito, con una sovrabbondanza d'armonici cui l'orecchio man mano s'abitua, l'esecuzione mette in luce il valore di questi promettenti strumentisti, la sensibilità e la precisione dei pianisti come la preparazione dell'ensemble orchestrale. Quando, poi, entra il chitarrista Alessio Nebiolo per il Preludio e fuga (2017, allusione bachiana, contenuti tangueri) di Lorenzo Turchi-Floris, in prima italiana, allora un suono immediatamente più terso ribadisce la qualità dei giovanissimi musicisti che fanno da corona alla bella interpretazione di Nebiolo. Questi, nel presentare il suo bis, offre un saporito aneddoto sulle vie inaspettate che un tema musicale può imboccare: una sua semplice improvvisazione per testare alcuni strumenti in un'esposizione di liuteria in Messico è stata scambiata da un compositore locale come un tema rinascimentale e gli ha ispirato una serie di variazioni che, ascoltate ora, al primo impatto sembrano echeggiare la melodia di Via del campo di De André.

foto Irene Trancossi

A mezzanotte dello stesso sabato, è la volta dell'ensemble Blow Up Percussion, che propone pagine di Alessandra Ravera (classe 1978), Stefano Taglietti (1965), Bryce Dessner (1976), Francesco Filidei (1973) e Elliot Cole (1981). Della prima Blow Up è un'interessante prima assoluta con un importante intervento elettronico nella regia del suono di Tommaso Cancellieri. Nondimeno Silence=Death di Filidei colpisce per l'elaborazione del suono dalla pura e semplice espressione ritmica primordiale. Da segnalare anche l'utilizzo percussivo di cordofoni rielaborati per Music for woods and strings di Dessner, che alterna con spirito jazzistico il protagonismo e la guida alternata dei singoli strumentisti.

Tutt'altra atmosfera si respira in Duomo quando, al termine della messa, ai fedeli subentrano i musicofili per ascoltare Massimiliano Grassi alle prese con un bel programma organistico che accarezza il barocco di Albinoni proseguendo via via fra padre Martini e Cimarosa fino all'Ottocento contemporaneo a Rossini e all'età del Belcanto, di cui si avverte chiarissima l'influenza anche nelle pagine liturgiche, senza trascurare una puntata ancora al XVIII secolo per una sonata di Antonio Maria Tasso detta “con flauti” per l'utilizzo dei registri organistici.

In serata, in piazza, il primo appuntamento sinfonico del quarantatreesimo Cantiere vede protagonista la Cambridge University Orchestra, pregevole complesso giovanile che non si lascia troppo intimidire da brezze, umidità vespertina ed escursione termica e regge bene perfino nelle più rischiose sezioni degli ottoni. Certo, fra il Rossini dell'ouverture del Barbiere, il Dvořák delle variazioni sinfoniche sul tema Io sono un violinista e il Čajkovskij della Quinta Sinfonia, qualche sbavatura si avverte, ma è chiaro che una bacchetta più autorevole (e il curriculum dell'orchestra ne sciorina parecchie, a riprova della sua qualità) della non troppo fantasiosa ed energica Naomi Woo avrebbe facilmente ovviato a eventuali incidenti. Infatti, al termine, il pubblico premia l'orchestra con applausi ripagati da un omaggio, magari un po' ingenuo ma sincero, al repertorio italiano: “Va' pensiero” in una versione vagamente straniante per sola orchestra. Tanto che ci sentiamo quasi costretti a canticchiare, seppur più sommessamente di quanto, forse, gli inglesi si sarebbero aspettati dai compatrioti di Verdi.

foto Irene Trancossi


 

 

 
 
 

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