Il trillo di Lisette

  di Roberta Pedrotti

Salutata da calorosissimi applausi, Lisette Oropesa si presenta al pubblico pesarese dopo il successo di Adina con un intenso programma di coloratura.

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PESARO, 14 agosto 2018 - Generosa, generosissima Lisette Oropesa inanella arie fitte di acuti, sovracuti, trilli per un'ora e mezza con il solo intercalare di quattro pagine strumentali (nemmeno il tempo di un cambio d'abito) e, in chiusura, ancora lo spirito e l'energia per due bis, “Je veux vivre” e “Sempre libera”.

Per il pubblico è una festa che incorona la protagonista di Adina [leggi la recensione] al termine di un bel recital con orchestra, eloquente ritratto dell'artista statunitense di origini cubane.

Si parte con Mozart e l'accorato lirismo di Ilia nell'Idomeneo (“Padre, germani,addio!”): una lettura attendibile, tesa a coniugare partecipazione emotiva e pulizia stilistica, anche se, complice un'articolazione testuale meno nitida che altrove, non è forse questa vocalità neoclassica quella in cui possono maggiormente emergere le virtù di Lisette Oropesa. Lo dimostra, poco dopo, l'aria di Amalia dai Masnadieri verdiani, ovvero il tributo a Jenny Lind, l'usignolo svedese, la regina del trillo con il cui mito ogni soprano di coloratura ha dovuto, in un modo o nell'altro, fare i conti. E proprio sul piano insidioso del trillo Oropesa sfodera le sue carte migliori, cesellando con finezza il cantabile per poi guizzare leggiadra nella cabaletta.

Dal connubio stravagante fra la scrittura verdiana e un tipo di virtuosismo che prelude già ad arabeschi liberty, il passo verso il repertorio francese è, relativamente, breve. Lo si avverte soprattutto nella cavatine di Isabelle dal Robert le diable, “Robert, toi que j'aime”, in cui conta più del timbro l'articolazione musicale e in cui Lisette Oropesa sa far emergere un canto quasi trasparente, tutto dinamiche, filati, trilli su messe di voce. Con lo stesso gusto squisitamente francese approccia anche una pagina più lirica, “Comme autrefois” da Les pêcheurs de perles e convince allo stesso modo per l'eleganza di questo gioco quasi evanescente, che non tradisce comunque la natura della pagina.

Sottile con il fisico da cui proviene sembra la voce di Lisette Oropesa, ma questo con questo filo l'artista sa tessere trine preziose, ricami e trasparenze, giocare in un'ampia gamma dinamica; scala caparbia le vette del pentagramma, e quando sembra che il suono possa essere un po' dritto e rischiare d'indurirsi, stupisce modulandolo con decisione. Così, ancora una volta non è un qualche arcano incanto timbrico o coloristico a colpire nell'astrazione del vocalizzo Le rossignol et la rose di Saint-Saëns, bensì, si direbbe, il suo contrario, un suono quasi prosciugato all'essenza e di lì condotto nelle volute della coloratura estetizzante del secondo Ottocento. Non trascendentale, affabile, piuttosto, fine, sciolta, duttile e sicura. Quando, poi, in chiusura di programma, torna al belcanto italiano con un omaggio a Rossini, la leggerezza fanciullesca si riarrotonda per offrire una piacevole, sognante Amenaide (“Come dolce all'alma mia”) e una Fiorilla (“Squallida veste e bruna”) debitamente ardita nei virtuosismi. Fra applausi calorosissimi, Juliette tornerà a dimostrare l'affinità del soprano con il repertorio francese e Violetta la sicurezza della preparazione anche in un cimento dei più insidiosi.

Meno convincente appare, invece, la prova di Christopher Franklin, piuttosto greve alla guida dell'Orchestra Filarmonica G. Rossini. Non solo pagine come le sinfonie di Idomeneo, Un giorno di regno e Tancredi esigerebbero una maggior eleganza e leggerezza e la marcia dalla Margarita d'Anjou di Meyerbeer risulta invero troppo appesantita, ma soprattutto un canto come quello di Lisette Oropesa si sarebbe senz'altro giovato degli stimoli d'una bacchetta più incline alla complicità, al rubato, alla trasparenza.

foto Amati Bacciardi