L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Verdi nel giorno del giudizio

 di Antonino Trotta

Impeto epico ed esasperazione drammatica animano la monumentale concertazione di Conlon, alla guida dei complessi dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai. Di grande valore il parterre di solisti: Anna Pirozzi, Marianna Pizzolato, Saimir Pirgu e Riccardo Zanellato incastonati nella splendida cornice del Coro del Teatro Regio di Parma.

Torino, 25-26 Ottobre 2018 – Non ci si meraviglia se oggi la Messa da Requiem è una delle composizioni non operistiche più eseguite nella sale da concerto, in essa convivono una potenza drammatica e una magniloquenza del discorso musicale difficilmente riscontrabili in altri capitoli dell’enorme letteratura sacra europea. Il direttore Hans von Bülow, in occasione delle prime esecuzioni viennesi, la definì «l’ultima opera di Verdi, seppur in paramenti ecclesiastici», alludendo a quella consanguineità con alcune pagine teatrali dell’ultimo periodo, spesso evidenti nel tessuto melodico e nell’inventiva strumentale (la sezione del Lacrymosa, ad esempio, eredita il lugubre tema direttamente dal quarto atto del Don Carlos, «Qui me rendra ce mort?»). Epurata da ogni intenzione detrattiva, tale asserzione di fatto non decontestualizza il lavoro bensì pone in risalto l’inevitabile contributo della nutrita esperienza drammaturgica, meno lampante nei successivi episodi di musica sacra. Basti pensare solo al feroce contrasto tra l’Ingemisco del tenore e il Confutatis del basso, nella Sequenza, per tastare la tagliente intensità scenica con cui prende vita il testo liturgico. Lontano da ogni riflessione mistica o religiosa, nella sua Messa Verdi racconta le peregrinazioni di un’anima vinta, nel giorno del giudizio, dall’ineludibile mistero della morte.

Impeto epico ed esasperazione drammatica animano la monumentale concertazione di Conlon, alla guida dei complessi dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, che sembra intendere il Requiem proprio come la grandiosa rappresentazione dell’apocalisse biblica. Se le fiamme dell’inferno avvampano implacabili e voraci durante il Dies Irae e il Rex Tremendae, nella pugnace lettura del maestro statunitense la luce non è altro che condizione necessaria per l’esistenza delle tenebre, presenti persino nei chiarori dell’Offertorio e del fugato a due voci del Sanctus con tremoli ribollenti e sinistre progressioni degli archi ad acuire oltremodo la febbrile tensione all’insegna della quale è dipanata l’intera direzione. Il podio scalpita impaziente quando all’orizzonte si intravedono momenti di prorompente deflagrazione – nella recita del 26 un irruento accelerando nel finale del Libera Me causa una trascurabile défaillance al soprano – ma non si percepisce alcun affanno nel respiro orchestrale, invero capace di soffermarsi e distendersi per rivelare il dettaglio della forbita scrittura strumentale o anche solo di un gruppetto o un’acciaccatura. A corroborare la dimensione teatrale di questo Requiem interviene infine, oltre all’efficace fanfara delle trombe dalla galleria, una maniacale attenzione alla parola, qui come nelle opere di Verdi perno intorno al quale ruota l’articolazione del dettato musicale: di estenuante carica emotiva il sillabare del coro nell’ultimo tassello della messa.

Di valore il parterre di solisti. Anna Pirozzi, ad oggi tra i migliori soprani verdiani italiani, ha una voce affilata come una lama e sciabola do che fendono senza difficoltà alcuna la spessa parete sonora del coro e dell’orchestra. La sua è un’interpretazione intensa e partecipe, curatissima nel fraseggio e vibrante nelle accentazioni, specie nel finale. L’importante peso vocale non preclude le sfumature dinamiche più delicate (il si bemolle filato nella replica del 26 è davvero bello) ma intriga nei passaggi di puro lirismo. Non meno lodevole la prova di Marianna Pizzolato, della quale si elogia anzitutto un’eleganza tutta rossiniana. Il timbro contraltile è pastoso e la voce conserva una bella rotondità anche nel registro grave; solo negli acuti estremi, un po’ affaticati, il mezzosoprano palermitano paga lo scotto dell’incursione in territorio nemico. Saimir Pirgu ha in dote un mezzo statuario, fascinoso nel registro acuto, luminoso e squillante. Il tenore albanese si fa apprezzare per la sicurezza dell’emissione, prepotente nella sortita del Kyrie, ma l’eccessivo utilizzo nel falsettone, generosamente dosato nell’Ingemisco, rischia di trasformare la supplica in una romanza amorosa. Impeccabile Riccardo Zanellato per musicalità, autorevolezza ed estremo senso della misura. Eccellenti le prove dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai e del Coro del Teatro Regio di Parma, istruito dal Maestro Martino Faggiani, per omogeneità e opulenza nello spettro timbrico.

Solo un eloquente silenzio separa la fine del Requiem dal turbinio di applausi che il pubblico torinese riserva a tutti gli artisti, con punte di particolare entusiasmo per il coro e per Conlon. Nel giorno del giudizio, ben altra musica ci aspetta, nessun dio sarebbe capace di tanta bellezza.

 

foto Maria Vernetti


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