La classica Russia

 di Stefano Ceccarelli

Ogni nuova esibizione al pianoforte dell’astro Daniil Trifonov è un bagno di folla. Se, poi, si aggiunge la presenza del Maestro Antonio Pappano, che di folla plaudente è giustamente sempre ben provvisto, ci si può immaginare la quantità di persone accorse nella Sala Santa Cecilia dell’Auditorium per gustare di un programma tutto russo, di una Russia musicale oramai divenuta classica: l’ouverture da Ruslan e Ludmilla di Glinka, il Terzo concerto di Rachmaninov e, infine, la Quarta di Čajkovskij. La serata è un successo.

ROMA, 10 novembre 2018 –Un concerto tutto russo è cucito dal Maestro Antonio Pappano attorno al giovane (ma oramai affermato a livello internazionale) Daniil Trifonov, che porta con sé uno dei suoi cavalli di battaglia, il Terzo di Rachmaninov. La serata, che ha come fil rouge la musica russa, in particolare la musica di compositori ‘passatisti’, che guardavano al classico come a un modello insuperabile, si apre con l’esecuzione dell’ouverture da Ruslan e Ludmilla di Mikhail Ivanovič Glinka. L’orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia, col suo suono brillante, pieno, turgido, dona un’eccellente esecuzione, guidata da Pappano, che della partitura esalta giustamente l’aspetto tanto baldanzoso, ‘epicheggiante’, quanto soffusamente languido: lo stile è quello brillante e italiano di Rossini, cui Glinka si ispira. Gli applausi preparano l’ingresso del talentuoso, giovane russo.

Dall’ultima volta che ebbi il piacere di ascoltare una sua esecuzione, Trifonov mi appare perfezionatosi ancor di più nella cura del suono. Mi pare più rilassato e consapevole sul palco, maturato non solo nell’aspetto, ma anche nel portamento pianistico. Trovo impressionante la sua abilità di sgranare le differenti note, di non appesantire la sezione bassa della tastiera, magari abusando dell’impasto consentito dal pedale armonico; di soppesare le differenti intensità con estrema attenzione, dando spazio alle emozioni che naturalmente la musica promana, senza, dunque, banalizzare l’esecuzione a un mero esercizio virtuosistico. Trifonov, insomma, ha guadagnato in esperienza, eleganza, sicurezza nel maneggiare un pezzo così arduo come il Concerto per pianoforte n. 3 in re minore, op. 30 di Sergej Rachmaninov, celebre e ricco di aneddoti, uno dei pezzi più noti del compositore. Pappano e Trifonov hanno fin dalle prime battute un’ottima intesa. Indimenticabile l’attacco dell’Allegro ma non tanto: il celeberrimo tema scorre vagamente enigmatico, sospeso, poi passa all’orchestra e il solista comincia la girandola di variazioni e rapsodie, con ripresa dello stesso tema iniziale, in un brano che concede molto al virtuosismo, quasi rapsodico appunto. L’elaborata cadenza finale, affrontata da Trifonov con maestria ineccepibile, ci fa gustare tutte le possibilità della tastiera (e di questo interprete). Il mastodontico I movimento termina con la ripresa, in Ringkomposition, del tema d’apertura. Pappano, che aveva accompagnato stupendamente l’interprete per tutto il I, apre il II con un vapore orchestrale indimenticabile; l’atmosfera prosegue languidamente fino alla rottura e all’intervento energico del pianoforte: orchestra e pianista, a questo punto, terminano il movimento in sinergia perfetta. Il III è un alternarsi perfetto di muscolari sussulti di orchestra e pianoforte, alternati a momenti di delicata stasi: Pappano e Trifonov trovano un’incredibile sintonia, tanto che ogni respiro, attacco, come pure passaggio più impervio, diventa naturalissimo all’ascolto. L’epica conclusione, con il solare tema ‘fanfarico’ che si dilata fino alla stretta definitiva, è memorabile. Un profluvio di applausi sommerge l’orchestra, Pappano e Trifonov, al quale sono indirizzati frequenti ‘bravo’. Il pianista, dopo diverse chiamate sul palco, regala una rilassata esecuzione, ben scandita, à la Rubinstein, del Fantaisie-Impromptu op. 66 di Chopin.

Il secondo tempo è tutto dedicato alla Sinfonia n. 4 in fa minore op. 36 di Pëtr Il’ič Čajkovskij. Pappano dirige la partitura con un’energia impareggiabile, fin dalla fanfara iniziale, evocazione musicale del Destino che, prima o poi, aspetta tutti. Pappano – che è perfettamente a suo agio nel repertorio tardoromantico – imprime un’energia sostenuta, tagliente, angosciante ai movimenti sussultori del I tempo. L’orchestra dà prova della pulizia timbrica del suo suono nel II movimento, all’inizio, quando la malinconia diviene suono fisico: Pappano, poi, solleva la massa orchestrale (soprattutto gli archi) a seguire i moti del pensiero angosciato, che ritorna su sé stesso, aprendosi anche a vaghi momenti di gioia. Del III movimento, gli «arabeschi capricciosi» (come li definiva l’autore), Pappano coglie la bellezza soffusa, ma anche frenetica, del timbro dei pizzicati da cui emerge, quasi timidamente, una melodia contadinesca. L’ultimo movimento, il IV, è letto dal Maestro con grande attenzione ai differenti colori, inizialmente suggerenti la gioia delle persone comuni, poi, mano a mano, sempre a scurirsi, mentre il Destino si intrufola imperterrito: Pappano, ecco, ha saputo ben dosare quest’alternanza di colori chiari e scuri, fino all’esplosione finale. Gli applausi, del pari, esplodono e invadono la sala.