Debussy oltre la tela

 di Antonino Trotta

Con una raffinata monografia Benedetto Lupo celebra il centesimo anniversario della morte di Claude Debussy all’Unione Musicale di Torino.

Torino, 14 Novembre 2018 – Che Debussy sia l’emblema del Novecento francese è fuori discussione. Il protagonismo delle soluzioni timbriche nelle sue composizioni, sottilmente dosate e miscelate, la scrittura pianistica, debitrice a Liszt e Chopin, proiettata verso le esperienze di Boulez o Stockhausen, il frequente utilizzo di scale modali o esotiche, i profili melodici irregolari in continua mutazione, la forma libera da ogni itinerario prestabilito, sono solo alcuni dei tratti distintivi di una intelligenza musicale sfuggevole e imprevedibile che strizza l’occhio al simbolismo e all’impressionismo di cui, forse involontariamente, Debussy è diventato principale testimone. Il colorismo pittorico e la tendenza a fissare su quadro – anzi, su pentagramma – attimi unici e irripetibili trovano, di fatto, grandi analogie con le raffinatissime atmosfere debussiane, dove le immagini alludono in modo assolutamente generico al soggetto senza mai definirlo pienamente. E se quelle parentesi languide e sentimentali, almeno nelle esecuzioni di consumo, assicurano notorietà universale, è solo il magistrale lavoro di interpreti come Benedetto Lupo a restituire la grandezza del pensiero al di là della tela.

Ospite dell’Unione Musicale di Torino, il pianista barese propone una monografia interamente dedicata al compositore francese. Una scelta che sostanzia, oltre al sincero amore per l’autore, la caratura di un artista che rifugge ogni sipario autocelebrativo, l’umiltà di un vero virtuoso della tastiera che sa muoversi con passo felpato in un repertorio che preferisce allo sforzo muscolare un gesto sobrio e calibrato, dove l’infallibilità del tecnicismo si misura nel dettaglio microscopico e non nell’esasperazione egocentrica di tempi e volumi. Dalla raccolta degli Estampes a quella delle Images, passando per le Images oubliées e le isolate partiture di Masques, L’isle joyeuse e D’un cahier d’esquisses, l’idea predominante è quella di un’interpretazione che nasce dalla rigorosa tessitura della trama ritmica e trova la sua massima espressione nel cesello dinamico, corroborato da un uso eccezionale del pedale di risonanza, ora per sovrapporre armonie nel misterioso gioco di ombre e sfumature timbriche, ora per profondere a una singola nota uno spessore che non rinuncia al velluto. Il tocco brillante, risultato di un affondo del tasto morbido e pieno, consente un fraseggio cristallino e ricercato anche nei passaggi di incontenibile liquidità o laddove le pagine si increspano a favore di un uso sfacciatamente percussivo dello strumento (anticipando in parte il percorso che da lì a poco intraprenderanno ad esempio Bartók o Ravel). Si procede senza sosta, nei corridoi di questa galleria impressionista, ascoltando un discorso forbito, impreziosito da un vocabolario musicale ampio e sfaccettato, e scoprendo, dipinto dopo dipinto, i segreti di un pianismo del tutto singolare nel suo genere.

Ancora un bis (La plus que lente) e alla fine il pubblico, forse all’inizio un po’ disorientato in un tracciato dai confini così evanescenti, tributa a Lupo una sincera e strameritata ovazione.