Tre sinfonie, un solo sguardo

 di Alberto Ponti

Attraverso Haydn, Mozart e Schumann si conferma la visione personale e carismatica di Ottavio Dantone, uno tra i migliori interpreti italiani del nostro tempo

TORINO, 7 dicembre 2018 - Poco meno di cent'anni separano la Sinfonia n. 6 in re maggiore Il mattino (1761) di Franz Joseph Haydn (1732-1809) dalla Sinfonia n. 3 in mi bemolle maggiore op. 97 Renana (1850) di Robert Schumann (1810-1856), presentate da Ottavio Dantone in apertura e chiusura del programma diretto all'auditorium Toscanini alla testa dell'Orchestra Sinfonica Nazionale. Un secolo di conquiste stilistiche e tecniche, di evoluzione inarrestabile delle forme sullo sfondo di cruciali mutazioni politiche e sociali che non mancarono di esercitare il loro riflesso anche in campo musicale. Nella sua Introduzione allo studio della storia economica Carlo M. Cipolla afferma che un Ovidio redivivo nel XVIII secolo in una capitale suropea non avrebbe trovato, in fondo, una regola di vita molto diversa da quella descritta nei suoi componimenti: l'alternarsi delle stagioni (soggetto prediletto da letterati e compositori non solo settecenteschi) definiva, in un mondo ancora dominato dall'agricoltura, i ritmi fondamentali dell'esistenza umana. L'universo del giovane Haydn, delle sue prime sinfonie animate da spiriti naturalistici (Il mattino, Il mezzogiorno, La sera), è in buona parte questo. Se l'autore delle Heroides e degli Amores si fosse trovato pochi decenni dopo nella stessa città avrebbe avuto di fronte una realtà irriconoscibile, già scompigliata dai prodromi della moderna civiltà industriale. Ecco allora l'Europa romantica, le insurrezioni del 1848/49, l'insofferenza e lo scalpito dei nuovi tempi che in Schumann troveranno, nel continuo e sofferto streben verso una perfezione ideale e mai raggiungibile, un equilibrio artistico tanto sottile quanto miracoloso.

Il ricorso allo spirito della musica popolare rende in certi passi la Renana una pagina rivoluzionaria, così come lo era stata l'Eroica beethoveniana nell'interpretare lo zeitgeist dell'epoca, tanto che negli indugi puntati del finale, nelle figurazioni impetuose degli archi rivolte verso la luce dalle profondità dei bassi pare di avvertire il muoversi sotterraneo della massa lavoratrice evocata nello zoliano Germinal 'grandissant pour les récoltes du siècle futur, et dont la germination allait faire bientôt éclater la terre'.

Se Dantone, tra i più validi e intelligenti direttori italiani sulla scena di oggi, riesce ad affrontare nello stesso concerto due universi tanto differenti con appassionante e indubbia personalità allora, ne siamo certi, potrebbe dirigere, pur esulando dal suo repertorio attuale, anche Bruckner e Mahler. La distanza tra essi è Schumann, guardando avanti, non è affatto maggiore di quella tra Schumann e Haydn, volgendosi indietro.

Nella sinfonia Il mattino, opera ancora debitrice al modello del concerto grosso, estrema è la cura del maestro, seduto per l'occasione al clavicembalo, nel ricreare un suono avvolgente e preciso, senza alcuna concessione a formule di comodo, mettendo a fuoco ogni particolare di una scrittura che, nell'originale Adagio tripartito e nello squadrato Minuetto, lascia intravedere i grandiosi sviluppi di là da venire.

Levigata e pungente a un tempo appare subito dopo la Sinfonia n. 38 in re maggiore K 504 Praga (1786) di Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791). La sublime fioritura tematica del primo movimento Adagio-Allegro trova attraverso il gesto di questo direttore brillantezza di eloquio, icasticità nelle linee costruttive, perfetto intreccio tra le volute ricamate da violini, viole e violoncelli e gli interventi dei fiati, sempre chiamati a un lavoro in primo piano. Anche nell'Andante e nel Presto, depurati da ogni tentazione di eccessi dinamici pre-romantici, emerge un classicismo a tutto tondo che accresce, nel flusso di un'interpretazione impetuosa, l'emozione per i continui colpi di scena preparati dal salisburghese in una delle sue partiture strumentali di maggior effetto teatrale.

Rimane una stupefacente Terza di Schumann a chiudere la serata tra l'entusiasmo dei presenti per tutti i protagonisti, tra cui encomiabile ci è sembrato il quartetto dei corni, dall'intesa calibrata, calda e persuasiva. Nella visione di Dantone dominano in pari misura sehnsucht e solennità sparse a piene mani dall'autore soprattutto nel Lebhaft di esordio e nel Feierlich che la tradizione vuole ispirato alle alte volute del Duomo di Colonia, ma trovano adeguata e amorevole rappresentazione tante sfaccettature intermedie che, alla fine, fanno dell'esecuzione una gemma preziosa: il robusto respiro del popolaresco scherzo Sehr massig, l'intima confessione, lontana da retorica, di quel magnifico lied che è il terzo movimento Nicht schnell. Qui, prendendo spunto dall'ultima delle Kinderszenen, è una voce sola a parlare: il poeta.

foto Maria Vernetti