L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Forma antica, sostanza moderna

 di Antonino Trotta

Continua per l’Associazione Lingotto Musica la sfilata di interessanti formazioni da camera: dopo la Hofkapelle Stuttgart e la Mahler Chamber Orchestra, è l’ensemble Forma Antiqva a calcare il palcoscenico dell’auditorium “Giovanni Agnelli” con un’eccentrica lettura delle Quattro Stagioni.

Torino, 11 Dicembre 2018 – Non sempre la musica si scrive con dei puntini e l’esperienza del melodramma, più di tutti, lo conferma: un colore, una sfumatura, un’aritmia, un’inflessione possono essere solo il riflesso di un’immagine costruita sì a partire dalle indicazioni – fisiologicamente limitate – descritte in partitura, ma modellata per assecondare una ricerca espressiva spesso esortata da un supporto letterale. Che si tratti dei Tre Sonetti del Petrarca di Liszt o degli episodi più maestosi di musica a programma, non è un caso che nel corso della storia anche la produzione puramente strumentale si sia avvicinata ai versi, lasciando vivere nella sottile intercapedine tra la l’inequivocabile chiarezza dello spartito e la libertà evocativa del testo poetico l’interpretazione del dettato musicale.

Se la verve del Concerto grosso in la maggiore op. 6 no. 11 di Händel si impone come un compendio di stilosa pratica barocca e la Simple Symphony op. 4 di Britten attesta la duttilità di un ensemble che sa guardare oltre il proprio territorio d’elezione – splendidi i pizzicati del secondo movimento, Playful Pizzicato, per precisione e ricchezza dinamica e l’intensità dell’ultimo, Frolicsome Finale, di ispirazione quasi bartokiana nel rutilante materiale folkloristico – senza rinunciare alla varietà dello stile, sono le eccentriche Quattro Stagioni di Vivaldi a impreziosire il concerto dei Forma Antiqva, ospiti all’auditorium “Giovanni Agnelli” di Torino per l’Associazione Lingotto Musica. Svecchiando il polveroso strascico della consolidata prassi esecutiva (l’esordio in pianissimo del Presto da «L’Estate», ad esempio, è straniante), Aarón Zapico e il violinista Aitor Hevia – a cui si perdonano le diverse défaillances di intonazione – regalano una lettura del capolavoro vivaldiano fuori da ogni schema: imprevedibili cambi di tempo in un tessuto ritmico intricato e dinamiche che evolvono secondo una legge pittoresca squisitamente iconografica fanno di quest’interpretazione un espediente narrativo di grande efficacia che strabilia il pubblico in sala. D’altronde basta soffermarsi sui sonetti che accompagnano i concerti per convincersi della capacità illustrativa della concertazione: la metrica inflessibile del tempo scandisce il ritmo delle giornate, ma al suo interno, come in un rubato chopiniano, la natura si sviluppa in maniera totalmente indipendente.

Meritatissimi dunque i calorosi applausi che la platea rivolge alla formazione spagnola, forse, alla prima esibizione italiana (stando a quanto riportato dalla pagina web dell’orchestra). La forma sarà pure antica ma la sostanza, alla fine, è assolutamente moderna.


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