Renato Palumbo

A commemorare Boito

 di Francesco Lora

Un concerto incentrato su Arrigo Boito al Teatro La Fenice: musiche sue nonché di Weber, Verdi e Ponchielli; orchestra e coro veneziani in superbo spolvero; Palumbo ed Esposito da apoteosi nel Prologo di Mefistofele.

VENEZIA, 23 dicembre 2018 – Tempo di bilanci: nel 2018 delle celebrazioni rossiniane chi si è ricordato di Arrigo Boito intellettuale, librettista e compositore, del centenario della sua morte e del centocinquantesimo del suo Mefistofele? Circa l’opera che gira il Faust di Goethe dal punto di vista del diavolo, l’hanno allestita sei sole istituzioni di spettacolo in tutto il mondo (Praga, Monaco di Baviera, Orange, Lione, Tokyo e New York). Italia non pervenuta, per un titolo che a metà Novecento riempiva l’Arena di Verona. Inutile sperare, allora, nel recupero del postumo Nerone: per chi voglia confidarci, saranno cent’anni dalla prima esecuzione nel 2024. Nessun accento, ancora, è stato posto sul Boito autore dei versi di Otello e Falstaff di Verdi (recite prossime ai minimi storici sulle scene italiane) né su quello co-autore del Simon Boccanegra revisionato (suo è il quadro nella Sala del Consiglio, a rammentarlo). Un miracolo è invece piovuto sul Boito librettista della Gioconda di Ponchielli: la coproduzione tra Piacenza, Modena e Reggio – teatri di tradizione che mostrano i denti alle fondazioni liriche – ha resuscitato un’opera prima popolare e poi scivolata nell’oblio [leggi la recensione].

Negli ultimi giorni dell’anno, il 22 e 23 dicembre, una lezione di civiltà artistica è infine giunta non da Milano, città cui si lega l’architrave biografica di Boito, bensì da Venezia, città ove il bambino padovano ricevette le prime lezioni di musica: ecco uno di quei concerti che attestano la speciale avvedutezza artistica del Teatro La Fenice. In programma v’era l’Ouverture del Freischütz di Weber, anzi del Franco cacciatore, come l’opera andò in scena nel 1872 alla Scala, in italiano e con i dialoghi mutati in recitativi su versi di Boito e con musica dell’amico Faccio. V’era la rarissima Sinfonia in La minore composta a sedici anni durante gli studi al Conservatorio di Milano, con la struttura tipica di premessa all’opera e i richiami a un Verdi ormai più parigino che quarantottesco. V’erano i Ballabili di Otello, ultima pagina verdiana consegnata al teatro (per l’Opéra di Parigi: la versione ritmica francese, di Boito stesso, meriterebbe oggi la riproposta). V’erano il Preludio, il coro introduttivo e la Danza delle ore dalla Gioconda, brani ove si manifesta ancor meglio non solo l’aura veneziana del soggetto, ma pure la novità drammaturgico-musicale ispirata dal librettista al compositore.

Attraverso generi, periodi e compositori diversi, una pari cura è passata tra la concertazione di Renato Palumbo e l’orchestra e il coro: là una lettura vivace e solerte, incapace di calligrafismo; qui complessi con tedesca esattezza tecnica, ma italianissimi per bouquet timbrico e duttilità di gesto. Trasfigurazione generale nell’ultimo brano, il “Prologo in cielo” da Mefistofele. Strabiliante, nella direzione, il virtuosistico dosaggio di gorgo, baleno, ammicco, schianto e bisbiglio. Ed eccellente l’approccio del basso Alex Esposito alle battute di Mefistofele. Chi scrive si è talora assunto il compito, impopolare e a sé sgradito, di dissentire su sue interpretazioni belcantistiche; ciò poiché un patrimonio canoro di prima qualità è stato, nel tempo, subordinato alla pratica di un assai meno forbito istrionismo (censurabile, per esempio, in Rossini). Ma Mefistofele è altra cosa: dove altri ingrossa la voce e s’ingolfa, Esposito porge con beffarda asciuttezza, timbro ancora chiaro e giovanile, parola tagliente e nondimeno elegante. Tra lui, Palumbo, Mefistofele e i propri complessi, la Fenice non dimentichi di aver già innescato un asso di spettacolo per una delle sue prossime stagioni liriche.