Spasimi d’ira, spasimi d’amore

 di Antonino Trotta

Nella la ripresa al Municipale di Piacenza, l’allestimento di Tosca firmato da Joseph Franconi Lee appare rinnovato dalla forza interpretativa dei protagonisti. Nel cast eccellono Amartuvshin Enkhbat e Stefano La Colla mentre il podio s’infiamma sotto l’elettrizzante direzione di Sesto Quatrini.

Piacenza, 17 marzo 2019 – Quando anche l’olfatto interviene nel seduttivo gioco del melodramma l’esperienza teatrale instrada verso sentieri di partecipazione emotiva straordinari. Potrebbe sembrare un dettaglio secondario, addirittura scontato perché insito nelle dinamiche scenotecniche, ma il solo profumo dell’incenso inebria il maestoso finale primo con fragranze che accendono i ricordi e l’immaginazione: per un istante la platea del Municipale di Piacenza si trasforma nella navata della chiesa di Sant’Andrea della Valle e, mentre la processione del Te Deum sfila nella cupola non meno zoppicante della Roma papalina, ci si ritrova in bilico sulla sottile linea di confine che separa la realtà dalla rappresentazione. È una circostanza davvero esaltante. Ma le suggestioni di questa Tosca, secondo omaggio alla penna del librettista piacentino Luigi Illica, non si esauriscono qui.

Dell’allestimento firmato da Joseph Franconi Lee – i costumi e le scenografie sono di William Orlandi – si è scritto già in occasione della ripresa parmigiana di quasi un anno fa, con una scintillante Saioa Hernàndez, fresca proprio del reboante successo di Gioconda al Municipale. I fondali a perdita d’occhio, il citazionismo pittorico sagace e il cielo insanguinato (le luci sono di Giorgio Valerio), unica pennellata di colore nel chiaroscurale universo dove amore e morte si sfidano in un duello senza vincitori, descrivono una circostanza in cui gli artisti sono liberi di muoversi inseguendo un’idea ben precisa del personaggio. E dall’intercapedine che corre tra la libertà concessa all’interpretazione e il disegno registico, talvolta ferruginoso, lo spettacolo, immutato nella raffinata dialogica visiva, appare rinnovato. Dunque spazio ai protagonisti, fautori di una Tosca che si sviluppa lungo gli assi del canto e della recitazione.

Amartuvshin Enkhbat mutua dalla militanza verdiana l’attenzione all’articolazione della parola. Dizione perfetta, fraseggio autorevole e vibrante, il baritono mongolo coglie appieno l’essenza del personaggio, spesso frainteso nell’irrazionale leveraggio della drammaturgia pucciniana. Il suo Scarpia si fa tanto più bieco quanto più misurata e controllata è l’emissione: l’eleganza del porgere nel finale del primo atto è il risultato di un putrescente compromesso tra bigottismo e ferocia. Poi nell’intimità di Palazzo Farnese, dove la linea di canto acquista un’eccitazione via via più febbrile, l’incontenibile passione dissuggella l’armistizio, ma Scarpia è ancora un manipolatore sadico e lucido. Se ne ha misura quando rivela a Spoletta il nascondiglio di Angelotti, scadendo ogni vocabolo con gelido cinismo e infliggendo così a Cavaradossi l’ultima tortura, la più dolorosa. Le qualità vocali, infine, sono ormai ben note nell’ambiente italiano: strumento pregevole per smalto e volume, suoni rotondi e proiettati, timbro omogeneo e plasticità di sfumature ne fanno oggi un cantante da tenere assolutamente sott’occhio.

Incontrastato sul versante attoriale, Stefano La Colla si dimostra un cantante eccellente per portata e squillo. Sicuro e perentorio in acuto (al netto di qualche suono fisso), con quel tanto di smorzature sufficiente a nobilitare il ruolo, La Colla sa come accattivarsi il pubblico, anche ricorrendo a code superflue nella chiusura delle arie. È però nella costruzione scenica del personaggio che il tenore torinese si dimostra un autentico animale da palcoscenico. La poetica dell’artista illuminato, come anche nell’Andrea Chénier di Giordano (proposto qualche settimana fa nel circuito emiliano), corrobora l’inerzia eroica di Mario Cavaradossi, schiavo di un ideale a tal punto da risultare persino insensibile alle suppliche di Tosca: in tutta l’opera, in fin dei conti, l’amore che il cavaliere dichiara alla primadonna rimane sospeso nel limbo del verbalismo. Eppure l’espressività compita, lo sguardo rassegnato e la linea di canto sospirevole nel finale, in contrasto con l’indomabile audacia della scena della tortura, rivelano nel tratteggio di La Colla una sfaccettatura squisitamente romantica: il suo Cavaradossi sente già l’odore della disfatta e accondiscende la sua amata per regalarle l’ultima, dolce illusione.

Susanna Branchini esibisce fin dalla sortita canto volitivo e carattere risoluto, si direbbe anche troppo per la sirena civettuola e capricciosa del primo atto. Ma l’arcata drammaturgica si risolve in un giorno: se infatti, continuando il parallelismo con Chénier, Maddalena di Coigny ha tempo materiale per maturare tra un quadro e l’altro, la Tosca del secondo atto è esattamente la cantante del primo strappata agli allori della ribalta (tant’è vero che ella sopraggiunge dopo un’esibizione). Le sue azioni sono dunque istintive e ravvisare lo stesso piglio in due situazioni completamente differenti fortifica la credibilità del personaggio. La modellazione dell’eroina non trova però egual riscontro sul versante musicale: la voce è penetrante, voluminosa, ma il colore dalle screziature metalliche illividisce la resa, soprattutto nella celebre aria, dove l’artista non ha saputo sedare la valchiria.

Efficace il comprimariato: Giovanni Battista Parodi (Angelotti), Valentino Salvini (Sagrestano), Manuel Pierattelli (Spoletta), Stefano Marchisio (Sciarrone), Simone Tansini (Carceriere), Maria Dal Corso (Pastorello). Emozionante la prova del Coro del Teatro Municipale di Piacenza, istruito dal maestro Corrado Casati.

Il materiale drammatico della partitura pucciniana s’infiamma sotto la direzione del debuttante Sesto Quatrini che, alla guida dell’Orchestra Filarmonica Italiana, intavola una lettura enfatica e coinvolgente. Esplorando agogiche e dinamiche in continua palpitazione (di grande effetto i nevrotici accelerando del secondo atto), senza sacrificare i languidi cameratismi del violoncello agli estremi dell’opera, il podio si fa artefice di sonorità atmosferiche che da sole temprano la tensione della narrazione, in continua oscillazione tra spasimi d’ira e spasimi d’amore.

Teatro pieno fino all’orlo e successo caloroso per tutti, con punte di entusiasmo per Quatrini, La Colla ed Enkhbat, a cui il teatro tributa vere ovazioni. Avanti a Tosca trema tutta Piacenza.

foto Cravedi