L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Conquistare Turandot

 di  Andrea R. G. Pedrotti

Continua a convincere l'allestimento di Turandot curato da Marco Arturo Marelli per la Wiener Staatsoper. Sul palco si apprezzano le prove di Anna Smirnova, Alfred Kim e, seppur con qualche distinguo, Dinara Alieva.

VIENNA, 6 aprile 2019 - Era l'aprile del 2016, quando la produzione firmata da Marco Arturo Marelli fece il suo debutto sul palcoscenico della Wiener Staatsoper [leggi la recensione]. A distanza di tre anni l'allestimento non smette di convincere e rispetto ad allora, complice la diversa posizione in sala, consente di ricavare ulteriori spunti di riflessione.

Similmente alla messa in scena di Bregenz, dello stesso Marelli, la drammaturgia vede Puccini protagonista, tormentato dall'impossibilità di portare a compimento l'opera. L'idea è filologicamente corretta, poiché, a differenza di quanto sovente affermato dalla vulgata, Puccini non interruppe la stesura l'opera a causa del sopraggiungere della morte (che giunse per le complicazioni di un intervento chirurgico), ma il lavoro sulla partitura si era arenato alla morte di Liù tempo prima, anche se sicuramente è romantico pensare che per il compositore lucchese si fosse verificato un caso simile a quello che vide il decesso di Mozart all'ottava battuta del Lacrymosa nel Requiem.

Marelli immagina, prima ancora dell'introduzione orchestrale, Puccini nel suo studio intento a scartabellare pagine di musica e ad ascoltare i temi dell'opera da un piccolo carillon. Vicino a lui si scorgono una donna che sembra impersonare la moglie Elvira, quale alter-ego della principessa di gelo, e Liù, alter-ego della giovane Doria Manfredi.

Ovviamente, come suggerisce la foggia dell'abito, alter-ego di Calaf è Puccini stesso, che cerca di conquistare Turandot, intesa sia come principessa (nel caso in cui lo si voglia figurare come Calaf), sia come opera che, nella conquista, avrebbe visto il suo compimento.

L'idea funziona, anche perché, e non ce ne vogliano gli accaniti fan del maestro, Puccini si è sempre dimostrato comunicatore straordinario, drammaturgo strepitoso e raffinato interprete della psiche umana, ma, nonostante queste doti, non si può negare che il suo comportamento nei confronti dell'altro sesso sia stato tutt'altro che adamantino. Simile si dimostra essere Calaf, che contrariamente a quanto vorrebbe logica rifiuta un gioiello come Liù, per concentrarsi su due “gambe imperiali, belle, sì, ma sempre quelle” obnubilato da becero ego virile che lo spinge a cercare l'apparentemente irraggiungibile principessa del Celeste impero, trovando, come dice egli stesso, vittoria nel suo amplesso.

Liù è e resta, come in tutte le produzioni di Turandot, il personaggio più amabile, profondo e interessante dell'opera, specialmente se paragonato al carattere bidimensionale dei due protagonisti. Marelli caratterizza benissimo il personaggio, che, commovente come sempre, fa capolino sulla scena nel finale II e per raccogliere non vista uno stiletto abbandonato da Calaf e che sarà lama fatale a troncar la sua giovane vita nell'atto d'un sacrificio d'amore non riconosciuto.

Altra bella caratterizzazione è quella di Ping, Pong e Pang che si manifestano anch'essi nello studio di Puccini e che, in questa produzione, sono concepiti quale apoteosi di fredda malvagità. Basti pensare al terzetto “Olà, Pang! Olà, Pong!”, quando essi si trovano giocosamente a conservare e catalogare le teste dei principi decapitati. Da ultimo il coro che, in abiti coevi all'epoca di composizione, sembra spronare, incitare, pressare Calaf/Giacomo Puccini nella conquista di Turandot e al compimento dell'opera.

Musicalmente convince la protagonista Anna Smirnova, mai costretta a forzare l'emissione e capace di conferire bella espressività al canto. Accanto a lei troviamo l'ottimo Calaf di Alfred Kim, che, sicuro nel canto, fraseggia con gusto e recita con partecipazione.

Dinara Alieva (Liù) ha voce molto bella e palesa una solida preparazione musicale. L'unico appunto che ci sentiamo di rivolgerle è relativo all'emissione che manca di morbidezza, a svantaggio dell'espressività di alcune frasi, specialmente nella splendida scena che precede l'aria “Tu che di gel sei cinta”.

Timur era il bravo Dan Paul Dumitrescu. 

Opportunamente malvagie e vocalmente sicure le tre maschere, interpretate da Samuel Hasselhorn (Ping), Jinxu Xiahou (Pang) e Leonardo Navarro (Pong).

Completavano il cast il tonante Mandarino di Paolo Rumetz, le avvenenti Yonghee Ko e Irena Krseteska (ancelle di Turandot), l'Altoum di Benedikt Bobel e il principe di Persia di Wolfram Igor Derntl.

L'onnipresente Clown bianco era Josef Borbely.

La concertazione di Domingo Hindoyan, al debutto alla Wiener Staatsoper, insiste su un'agogica piuttosto serrata e su le dinamiche veementi, ma equiibrate. Nel complesso la la sua direzione funziona bene e trasmette efficacemente l'intensità emotiva della scrittura pucciniana.

Al termine grande successo per tutti, con punte di entusiasmo per i tre protagonisti.

 

foto Wiener Staatsoper / Michael Pöhn


 

 

 
 
 

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