Viva Amina!

 di Antonino Trotta

Dopo un letargo durato più di vent’anni, La Sonnambula di Vincenzo Bellini si risveglia al Teatro Regio di Torino: il rassicurante allestimento di Mauro Avogadro e la professionale concertazione di Renato Balsadonna assicurano uno spettacolo di buona qualità dal quale spiccano l’Amina di Hasmik Torosyan e il conte Rodolfo di Riccardo Fassi, elementi di punta della seconda compagnia di canto.

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Torino, 11 Aprile 2019 – Chiusasi la parentesi dell’Agnese di Ferdinando Paër, irresistibile canto della sirena per tanti melomani pellegrini, il Teatro Regio di Torino si riassesta sui binari del grande repertorio con La Sonnambula, assente da più di vent’anni. E dopo la lunga quiescenza, quella Sonnambula che aveva suggellato l’esordio torinese di un giovanissimo Juan Diego Flórez, ritorna sul palcoscenico del Mollino con la stessa veste con cui allora era stata consegnata alle braccia di Morfeo. Ma il risvegliarsi intonsi, senza i segni del tempo, a valle di un sonno così duraturo è, ahinoi, un fantasia riservata solo al mondo delle favole (salvo rare eccezioni).

L’allestimento di Mauro Avogadro, infatti, mostra in volto qualche ruga, soprattutto per la movimentazione delle masse corali, sfondo alla scena e alla storia, davvero obsoleta. Ad ogni modo, il cigolio dei logori ingranaggi poco impatta sulla fluidità della messinscena, nel complesso, piacevole e funzionale. Pur rimanendo nei limiti di una pittura oleografica, Avogadro si avvicina ai temi romantici dell’esotismo e della pazzia – qui declinata in sonnambulismo – con estrema cautela, accentuando la patina gotica del dramma durante l’introduzione, quando, avvolta dall’abbraccio della notte, la spettrale figura di Amina si presenta alla ribalta. Le curatissime luci di Andrea Anfossi evocano le atmosfere chiaroscurali della vicenda e ben amplificano la percezione delle scenografie di Giacomo Andrico, assai suggestive nel menzionare il paesaggio subalpino alle spalle del villaggio o alludere al bosco del secondo atto.

Per quanto riguarda la direzione di Renato Balsadonna, alla guida dei complessi dell’Orchestra del Teatro Regio di Torino, ben poco si potrebbe aggiungere all’esauriente resoconto di Alberto Ponti che, in occasione della prima, ha già recensito lo spettacolo su queste colonne. La concertazione è molto equilibrata, la cura del palcoscenico, a cui si concede sovente ampio respiro, premurosa; qualche ripresa espunta potrebbe far storcere il naso, specialmente a fronte di un’opera dalla lunghezza contenuta – è l’intervallo previsto tra i due quadri del primo atto, per il cambio scena, a sovradimensionare la durata della serata –, ma alla fine il podio dimostra una rassicurante professionalità.

Al debutto nel ruolo e alle prese con il suo primo Bellini, Hasmik Torosyan si rivela l’elemento più interessante della seconda compagnia di canto e la protagonista indiscussa della recita. Se il colore sinuoso e il fraseggio virginale – più teso nelle due scene del sonnambulismo – arridono all’allure lunare e trasognante di Amina, la scaltrita tecnica vocale tempra la foggia belcantista del personaggio, così fioriture cristalline, puntature al fulmicotone, legature e filature morbidissime si susseguono senza tregua per impreziosire la candida scrittura belliniana (la cabaletta della sortita, «Sovra il sen la man mi posa», è splendida). La stanchezza comincia a farsi sentire nella scena finale, sicché qualche picchiettato appare poco a fuoco, ma la prova è da considerarsi superata appieno. «Viva Amina!», insomma.

A Pietro Adaini, Elvino, va riconosciuta la luminosità dello squillo nel registro acuto – con tanto di re in «Ah! Perché non posso odiarti» –, a cui talvolta approda però con troppo impeto, inficiando la continuità della linea di canto, già velata da suoni leggermente nasali nella tessitura centrale. Lo spirito bonario, quasi sempliciotto, del ricco possidente, tuttavia, trova nell’ardimentosa espressività un ottimo canale di sfogo e il personaggio, in fin dei conti, è convincente.

Riccardo Fassi può vantare un materiale vocale di assoluto prestigio e il timbro statuario in dote al conte Rodolfo, oltre a evidenziarne l’estrazione più aristocratica, fa da flessuoso sostrato ai pezzi d’assieme. Il cantabile di ingresso («Vi ravviso, o luoghi ameni»), poi, per solidità d’emissione ed eleganza nel porgere è una vera delizia per le orecchie.

La Lisa di Ashley Milanese accusa invece qualche evidente difficoltà d’intonazione nella cabaletta del secondo atto. Completano correttamente il cast Vito Martino (Un notaro), Gabriele Ribis (Alessio) e Nicole Brandolino (Teresa). Ottima la prova del coro, istruito dal maestro Andrea Secchi.