La rinascita della Tragedia

 di  Andrea R. G. Pedrotti

Debutta alla Wiener Staatsoper, in un'ottima edizione e con un cast eccellente, l'opera del 2011 di Manfred Trojahn dedicata al mito di Oreste, un'apoteosi della tragedia classica e della riflessione drammaturgica e filosofica sul mondo greco, sul teatro e sul mito degli Atridi.

VIENNA, 13 aprile 2019 - È apoteosi euripidea alla Wiener Staatsoper, massimo teatro lirico della città culturalmente più rappresentativa del culto della classicità. Vienna è una città proiettata da sempre verso il futuro, ma saldamente legata alle tradizioni e alla conservazione del proprio carattere. L'incommensurabile bellezza insita nella profondità, nella musicalità, nella prosodia della lingua greca non poteva sfuggire a una cultura che nel tempo ha imparato a trarre frutto dalla sindrome dell'epoca d'oro che coinvolge lo stile di vita e la mentalità.

La Grecia classica, la Grecia che visse Euripide fu tutt'altro che un periodo di pace sociale, bensì un mondo in cui regnava la violenza, la perversione, la brutalità, ma capace di far fiorire l'opulenta fiamma della filosofia e della più grande letteratura che, a parere di chi scrive, l'uomo conobbe.

Il greco è una delle poche lingue capaci di commuovere e trasmettere il significato emotivo del testo anche senza conoscenza piena dei sintagmi che compongono il significante del testo. Quando, nel mio percorso di laurea, mi ritrovai a tradurre i versi di Euripide, l'immane quantità di note fu d'obbligo per un'analisi filologica accettabile, tale è il tradimento della magnificenza di lingua e linguaggio che mi trovavo a interpretare.

Euripide non si può tradurre, nessuna lingua, specialmente antica, si può tradurre, pretendendo di ricalcare la medesima forma espressiva, che, oltretutto, si rivolge a un pubblico caratterizzato da un'enciclopedia assai differente rispetto a quello che assistette, nel 408 a.c., alla prima rappresentazione assoluta di Ὀρέστης (Oreste), nella cornice del teatro di Dioniso ad Atene.

Pensiamo al concetto di Sehnsucht descritto dal grande Ladislao Mittner, la dolorosa brama per qualcosa mai vissuto. Molti pensatori d'area germanofona si interessarono di classicità, come Lachmann, Schliemann, o Nietzsche. Proprio Nietzsche con la sua concezione di tragedia influenzò profondamente non solo le musiche di Richard Strauss, ma anche di Alban Berg o Šostakovič. Nei loro lavori la catarsi da aristotelica giunge alla meditazione di quella platonica.

Manfred Trojahn, nel comporre musica e libretto del suo Orest, sembra voler fare riferimento a tutti e tre i musicisti che abbiamo poc'anzi nominato: Strauss per la concezione drammaturgica, Alban Berg per una partitura la tensione espressionistica e Šostakovič, quasi palesemente citato nella scena dell'incesto fra Elektra e Orest, con riferimento al brutale accoppiamento fra Katerina Izmajlova e Sergej in Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk.

Delle sei scene che compongono l'opera, la migliore e più coinvolgente è senz'altro la prima, a raccontare l'angoscioso perturbante del rimorso che avvince Orest per la morte della madre, Klytämnestra. Il discendente degli Atridi, nacque per tradizione nel corso delle festività delle Erinni, ma Trojahn segue la tradizione iniziata da Eschilo ed Euripide, immaginando cagione della sua follia nella perdita della genitrice, dissenno condiviso con la sorella Elektra.

L'effetto emotivo di questa prima scena è accentuato dalla regia di Marco Arturo Marelli in un corridoio, privo di finestre, a trasmettere l'angoscia, secondo la comunicazione artistica che fece grande l'espressionismo tedesco. Qui si svolge tutta l'opera e le uniche luci sono date da regolari porte, indistinguibili dalle pareti quando sono chiuse e dalle quali si spande il sibilante suono delle voci,che chiamano e affliggono la psiche di Orest. Da esse, dal tormento del figlio di Agamennone, appare l'inquietante figura dello spettro della madre, che si avvicina a lui eretta, fredda e statuaria, e al cui cospetto il discendente degli Argivi si contorce a terra, avvinto dalle convulsioni.

Apollo/Dionysos è interpretato dallo stesso artista con celeri cambi di costume, aureo per il dio del sole, brunito per il fratellastro. Così viene rappresentata in un'unica figura la concezione di apollineo e dionisiaco teorizzata da Nietzsche e riverberata anche nel libretto, che rimanda palesemente a Die Geburt der Tragödie aus dem Geiste der Musik, poiché è Dioniso ad accompagnare i momenti di follia irrazionale di Orest, mentre Apollo lo riporta alla ragione e, al termine dell'opera, sarà proprio Apollo a risolvere il dramma, apparendo su un argano, in ossequio al deus ex machina del teatro greco antico.

Sulla scena ritroviamo le battaglie, ben rappresentate dalle numerose comparse, Helena, immaginata come una Marilyn Monroe ricchissima, mentre Hermione diviene una ragazzina, quasi una scolaretta, attonita e impietrita dalle vicende familiari che la attorniano.

Personaggio interessante, al pari del fratello Orest, è Elektra, che soffre di un'instabilità più lucida, razionale e inesorabile, assai femminile nella sua implacabile, quanto brutale, sete di sangue. È perversa nel rapporto col fratello, almeno quanto in quello col padre, avvinta dalla pulsione carica di possessività ed erotismo verso le figure parentali maschili e bramando la morte di ogni altro elemento femmineo nella stirpe.

Tutto lo spettacolo, assai breve per durata complessiva, funziona e conduce, senza interruzione alcuna, all'ingresso risolutivo di Apollo.

Nel cast ritroviamo l'eccellente protagonista di Thomas Johannes Mayer, imperioso nella vocalità e attore coinvolgente; accanto a lui, l'altrettanto eccellente Elektra di Evelyn Herlizius, dotata di volume imperioso, ma sempre espressiva nel fraseggio e intensa nella drammaticità. Con loro è da segnalare l'ottima prova, nel doppio ruolo di Apollo/Dionysos, di Daniel Johansson, che trasmettere la concezione estetica della contrapposizione fra le due divinità teorizzata da Nietzsche.

Bene tutto il resto del cast, a partire dalle brave Laura Aikin (Helena) e Audrey Luna (Hermione), oltre alla Klytämnestra di Julitta-Dominika Walder e al Menelaos di Thomas Ebenstein.

Ottimo l'intervento di coro, segnalato in locandina in tutti i suoi elementi, dato il particolare impiego nelle allucinazioni di Orest, e comparse della Wiener Staatsoper.

Convince la concertazione di Machael Border, curata negli equilibri e intensa, nell'agogica e in delle dinamiche impetuose, ma mai soverchianti del palcoscenico.

Marco Arturo Marelli, oltre ala regia, ha curato anche le scene e il sapiente disegno luci, mentre i costumi erano di Falk Bauer.

L'opera era già stata rappresentata ad Amsterdam nel 2011, alla Neue Oper Wien nel 2014 ed è arrivata, per la prima volta assoluta, quest'anno alla Wiener Staatsoper.

foto © Wiener Staatsoper GmbH / Michael Pöhn