L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Bagliori d'oro, ombre di morte

 di Andrea R. G. Pedrotti

Giampaolo Bisanti dirige la ripresa del capolavoro verdiano alla Staatsoper con Christopher Maltman, Andrea Carroll e il tenore Attilio Glaser, chiamato a sostituire in extremis l'indisposto Joseph Calleja.

VIENNA, 9 maggio 2019 - Torna alla Wiener Staatsoper la produzione di Rigoletto nata nel 2014 e firmata da Piere Audi. La messa in scena, ripresa per l'occasione da Christof Hetzer, non è particolarmente originale, ma presenta alcuni dettagli interessanti. La scena rotante ci porta in tre ambienti differenti, che, mediante minute modifiche, rappresentano i differenti quadri dell'opera verdiana.

Sono ricorrenti degli ambienti chiusi, quasi oppressivi, il richiamo alla morte e alla ricchezza. Il piano superiore del palazzo del Duca sembra una grande scatola, che poi ritroviamo come stanza di Gilda. Le scene all'aperto sembrano vivere in un campo di avvoltoi, con l'esecuzione di Monterone a vista, subito dietro Gilda e Rigoletto, sul finire del secondo atto. Anche il terzo atto richiama palesemente il concetto della dipartita, con la locanda di Sparafucile che diviene un grande teschio, fatto di assi inchiodate fra loro. Nella ripresa televisiva questa immagine poteva apparire poco efficace, mentre in teatro aveva un suo senso drammaturgico. Il richiamo all'oro si concretizza nell'intensificarsi delle luci, che illuminano, così, delle pareti auree, nel momento in cui testo o situazione alludano alla ricchezza.

In locandina non sono riportati gli autori di scene e costumi, ma, oltre al regista, solo l'autore delle luci (Bernd Purkrabek) e il drammaturgo (Bettina Auer).

Nel ruolo eponimo troviamo Christopher Maltman; il baritono è dotato di bella voce e si dimostra disinvolto sul palcoscenico, tuttavia appare poo affine alla parte. Fatto salvo l'aggiustamento della frase finale, per favorire l'acuto, appare spesso in ritardo e poco incline al fraseggio italiano. Il suo è un Rigoletto che non presenta mai slanci di umanità e lo ritroviamo cantare “Cortigiani, vil razza dannata, senza particolari intenzioni espressive che non siano un impeto intriso di passionalità italiana sovente caricaturale e stereotipata. Vedere il gobbo rivolgersi a Marullo come se lo stesse minacciando in “Ebbene piango” è poco credibile: non è scontato che la commozione sia sincera, ma è invero imprudente relazionarsi in questo modo a un gruppo di viziati cortigiani rinascimentali, che già avevano espresso il desiderio di ucciderlo, preferendo, poi, trastullarsi nello scherno del deforme giullare.

Migliore del cast è la Gilda di Andrea Carroll, ineccepibile nella dizione, morbida nell'emissione e sicura nella tecnica. Come si è già avuto modo di sottolineare, il soprano statunitense si distingue per l'originalità e la perizia interpretativa: nel primo atto non è né materna né sottomessa a Rigoletto, senza cadere nella consolidata macchietta della fanciulla evanescente e trasognata. È un'adolescente che si confronta col mondo, con svaritati accenni di rivalsa, frenati dalla, innegabile, violenza e prepotenza del padre nei suoi confronti. Nel secondo atto appare sulla scena in abiti eleganti, a dimostrazione che il rapporto carnale e spirituale con il Duca aveva il suo pieno consenso. È molto più timorosa del confronto col genitore, che, prima della stretta conclusiva del duetto “Piangi, fanciulla”, le strappa il varipinto corpetto che copriva la tradizionale camicia da notte bianca e, sul finire della cabaletta, la costringe con violenza a mirare il corpo di Monterone esanime e insanguinato a terra. Nel terzo atto il soprano si distingue ancora per l'intensità di un fraseggio, mai remissivo, che la conduce alla fatale decisione di immolarsi in vece dell'amato.

Giunto la mattina stessa in sostituzione dell'indisposto Joseph Calleja, Attilio Glaser, al debutto viennese, offre una prova in crescendo: comprensibilmente prudente nel primo quadro, acquista sicumera vocale e scenica nel corso dell'opera. Musicalmente è preciso e tanto basta, considerato che è arrivato a salvare una situazione: per questo va solo apprezzato.

Le maggiori perplessità giungono dalla Maddalena di Nadia Krasteva, che zompetta fra i tavoli della locanda con poco costrutto e tenta goffamente di interoretare una scena di seduzione che dovrebbe avere dei tratti di volgarità, ma suscita solo perplessità. Vocalmente il mezzosoprano di Sofia palesa notevoli difficoltà, dimostrandosi, quindi poco a suo agio non solo scenicamente, ma anche musicalmente.

Bene il resto del cast a partire dal bravo Sparafucile di Jongim Park; accanto a lui ritroviamo Margaret Plummer (Giovanna), Alexandru Moisiuc (Monterone), Igor Onishchenko (Marullo), Leonardo Navarro (Borsa), Marcus Pelz (il conte di Ceprano), Lydia Rathkolb (la contessa di Ceprano), Ileana Tonca (un paggio).

Giampaolo Bisanti, dal podio, presta molta attenzione agli equilibri fra buca e palcoscenico, ben badando che gli artisti non subiscano mai il noto impeto dell'orchestra viennese. Particolare cura, osservando la festualità, è prestata nel seguire il debuttante Attilio Glaser, che si giova assai della scelta di Bisanti. La concertazione è ordinata e punta sull'insieme drammatico, senza abbandonarsi a slanci d'impeto, che il direttore si concede solo negli ultimi, vibranti, accordi conclusivi.

Eccellente la prova del coro, diretto da Martin Schebesta.

foto © Wiener Staatsoper GmbH / Michael Pöhn


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