Come un bel di dì maggio

 di Andrea R. G. Pedrotti

Il ritorno sulle scene viennesi del magnifico allestimento di Andrea Chénier firmato da Otto Schenk vede brillare in locandina i nomi di Anna Netrebko, Yusif Eyvazov e George Petean, che, non previsto inizialmente e subentrato all'ultimo momento, ha saputo imporsi con la sua notevolissima interpretazione di Gérard. Sempre una garanzia la concertazione di Marco Armiliato.

VIENNA, 28 maggio 2019 - Leggendo il libretto di Andrea Chénier si rischia di essere traviati da alcune espressioni che potrebbero apparire non particolarmente poetiche o raffinate. Questo è un errore, perché, in realtà, il testo di Luigi Illica contiene una serie di riferimenti e citazioni storiche e letterarie assai pregevoli e ricercati. Non scordiamo che il reale lessico rivoluzionario era assai originale e fantasioso, al punto (pensiamo solo al nuovo calendario) da far sorridere. Otto Schenk si conferma uomo e regista geniale, tutt'altro che didascalico: il primo atto non è la tradizionale abitazione della contessa di Coigny, ma riproduce un'immagine tipica dell'aristocrazia settecentesca, con un grande telo, che fa da sipario sul fondo della scena, con la riproduzione della sala di un teatro del XVIII secolo, epoca in cui il divertimento artistico era ad appannaggio dell'agiata aristocrazia, un'aristocrazia spazzata via - apparentemente - via dall'ondata illuminista che animò la rivoluzione francese.

Il secondo atto pensato da Schenk è storicamente preciso per l'ambientazione in un cortile con le finestre danneggiate dai moti rivoluzionari e il mobilio scheggiato nei tumulti. Qui non è tanto il luogo che, sebbene bello visivamente, di per sé direbbe poco, ma è ciò che accade attorno a catturare l'attenzione. La spazio scenico (come già fatto nel Rosenkavalier), ristretto nel primo atto per dar impressione di una stanza privata, torna a occupare buona parte del palcoscenico della Wiener Staatsoper, ospita la borghesia agghindata alla moda giacobina a riprodurre in minuti atteggiamenti, lanciati dagli accenni del libretto, uno straordinario, completissimo, compendio della storia e filosofia rivoluzionaria. Difficile riconoscerli tutti anche per chi si fosse interessato approfonditamente al momento storico, tanta è la ricchezza intellettuale che si sussegue. Nel terzo atto è ammirevole la scena del processo, che si forma con una veloce trasformazione dello studio di Gérard (costruito con le suppellettili trafugate nei palazzi nobiliari), perché attorno a Chénier e agli altri imputati notiamo come Schenk esalti ancora una volta le citazioni, quasi fosse un preciso dipinto con il coro impegnato a differenziarsi a seconda del carattere degli abiti nel comportamento che individua ruolo e nuove classi sociali, dai più intransigenti ed esaltati seguaci del Terrore, fino a coloro che tale momento storico pianificarono, ben più compiti negli atteggiamenti.

Splendido il quarto atto, interamente ambientato in un cortile che rammenta la Concergierie di Parigi, in cui l'angoscia viene accentuata dall'utilizzo delle luci che mostrano solo le ombre dei carnefici che passeggiano appena fuori e le esultanze per le inarrestabili decapitazioni. Solo una grande luce, all'apparire della carretta per Andrea e Maddalena, quasi simbolica della salvezza e del trionfo dell'amore nella morte violenta.

Concludiamo l'ampia parentesi sulla regia con i meritati auguri di buon compleanno a Otto Schenk, nato sotto il segno dei gemelli ottantanove anni fa, pensionato, ma ancora uomo dalla parlantina inesauribile e dalla rapidità di pensiero ammirevole, come ha dimostrato ampiamente nel recentissimo incontro per le mille recite del Rosenkavalier.

Quanto alla compagnia di canto, riserviamo il posto d'onore a George Petean, che, giunto a Vienna all'ultimo minuto, porta sul palcoscenico del teatro cittadino uno Gérard memorabile. La contessa dice chiaramente “l'ha rovinato il leggere”; infatti Gérard è un un uomo colto, fiero rappresentante di una rivoluzione che, non scordiamolo, non è stata un movimento di popolo, ma borghese ed elitario. Egli comprendeva a fondo la retorica propagandista e la critica apertamente in “Nemico della Patria”, appellativo con cui si bollavano (e ancora oggi s'usa nella propaganda politica) gli avversari, accusandoli, al solo fine di mantenere e incrementare consensi, di essere contrari a un presunto interesse del popolo. Accadeva allora e accade oggi.

Petean comprende la psicologia del personaggio e lo affronta curando con ogni accento. Il fraseggio è fra i migliori ascoltati (con un solo giorno di prove, ricordiamolo) e la frase viene porta con stile e intensità fuori dal comune. Ogni verso sarebbe da analizzare nel dettaglio, ma vale la pena rammentare per tutti la spledida esecuzione proprio di “Nemico della Patria”, che abbandona gli sterotipati retaggi del verismo e diviene puramente commovente e rappresentativa di un uomo deluso negli affetti, quanto negli ideali. L'aria è cantata ed è anche il legato a emozionare, perché è così che la frase acquista maggior intensità comunicativa. La tecnica perfetta consente al baritono rumeno di giocare a suo piacimento nella policromia del fraseggio, estesa a tre registri pienamente uniformi. Al termine dell'esecuzione non poteva mancare una meritatissima ovazione da parte della sala.

Yusif Eyvazov (Andrea Chénier) prosegue sulla strada percorsa negli ultimi anni, ossia quella che conduce alla purezza del suono e dell'emissione. Oltre allo squillo, infatti, la sua caratteristica migliore, è da sempre, la passionalità che sa esaltarsi nel canto sfumato più che nell'accetazione vibrante. Molto belli da parte sua sono l'attacco dell'Improvviso e tutto il secondo atto, impreziosito dalla precisa messa di voce in “Ora soave”. Fa piacere constatare la costanza nella ricerca dell'ideale da parte di un artista che, dopo l'inaugurazione scaligera del 2018 [leggi la recensione: Milano, Andrea Chénier, 07/12/2017], non può più sottrarsi a soddisfare alle richieste di un pubblico che ha imparato sempre più ad apprezzare le sue qualità d'interprete.

Accanto a lui Anna Netrebko (Maddalena di Coigny) coglie il personaggio con un primo atto che rammentava la sua interpretazione spensierata di Manon Lescaut. È molto bella la sua lettura della “Mamma morta”, curata nel fraseggio e nell'utilizzo degli accenti. Sovente si notavano segni d'indisposizione alle vie respiratorie nelle prese di fiato, il che aumentava la difficoltà tecnica per un'artista come la Netrebko, impegnata in un ruolo non particolarmente adatto alle sue caratteristiche di soprano lirico puro. Paradossalmente la concentrazione e il fraseggio ne hanno giovato, consentendo alla cantante russa di ottenere una meritata ovazione dopo la sua aria.

Fra i comprimari si distinguono Virginie Verrez (Bersi), Donna Ellen (Contessa di Coigny), Wolfgang Bakl (Mathieu) e Carlos Osuna (un incredibile).

Compleatavano il cast Monika Bohinec (Madelon), Orhan Yildiz (Roucher), Manuel Walser (Pietro Fléville), Alexandru Moisiuc (Fouquier), Peter Jelosits (un abate), Marcus Pelz (Dumas), Ayk Martirossian (Scmidt).

Dal podio Marco Armiliato porta a compimento una concertazione convincente, assai attenta alle voci, senza sacrificare mai la linea e ossequiando l'inimitabile bellezza del suono dell'orchestra della Wiener Staatsoper. Particolarmente convincente la prova degli ottoni che con la mirabile brillantezza emozionano, assieme alle percussioni, nella grandiosità del trionfo d'amore e morte finale.

Eccellente la prova del coro guidato da Thomas Lang.

Accanto a Otto Schenk, le scene erano curate da Rolf Glittenberg e i costumi da Milena Canonero.

Al termine grande successo per tutti in questo piovoso bel di dì maggio viennese.

© Wiener Staatsoper GmbH / Michael Pöhn