La strana coppia, vincente

 di Irina Sorokina

Abbinata insolita, ma di successo, quella proposta in chiusura di stagione al Filarmonico di Verona con Il maestro di cappella e Gianni Schicchi, protagonista Federico Longhi con la direzione del giovane Alessandro Bonato.

VERONA, 21 maggio 2019 - Si conclude in gloria e allegria la stagione lirica del 2018-19 al Teatro Filarmonico di Verona, con la presentazione di una coppia inedita: Il maestro di cappella (che non è una vera opera, ma un intermezzo comico di breve durata) di Domenico Cimarosa e Gianni Schicchi di Giacomo Puccini, la parte più gettonata del Trittico di cui le prime due parti, Il Tabarro e Suo Angelica non raggiunsero mai la popolarità di cui gode la spumeggiante operina comica ispirata a episodio della Divina commedia.

È piuttosto originale dare un’occhiata all’intermezzo cimarosiano come a un fenomeno d’opera e la regista Marina Bianchi assume questo compito con una disinvoltura che conduce a sicuro successo. Per una ventina di minuti il pubblico, ben disposto e molto divertito, è catapultato in un salotto settecentesco, affollato e afoso. Nella creazione di questo salotto la Bianchi si fa aiutare da tre veri complici, da Michele Olcese, direttore di allestimenti della Fondazione Arena di Verona, dalla costumista Silvia Bonetti e dal light designer Paolo Mazzon. Tutta questa graziosa e colorata opulenza che si trova sul palcoscenico del Filarmonico non è frutto dell’impegno dello scenografo e il costumista chiamati appositamente per lo spettacolo, ma di una ricerca – immaginiamo, dal carattere creativo – nei magazzini della Fondazione. I mobili provengono dai vecchi allestimenti, ma luccicano come nuovi e funzionano perfettamente.

La regista coinvolge gli professori d’orchestra areniani in un divertente gioco di teatro, cavandoli dal golfo mistico e scaraventandoli direttamente sul palcoscenico dove si trasformano negli amici del Maestro di cappella, invitati a casa sua per fare musica insieme. Ed ecco che sul palcoscenico del Filarmonico sorge un vero salotto del Settecento, il secolo dei lumi, popolato dagli ospiti spiritosi e chiassosi che non esitano a scambiare qualche battuta accesa col padrone di casa. Al gioco inventato da Marina Bianchi prende parte il giovane direttore d’orchestra Alessandro Bonato, mentre un gruppo di mimi esegue i movimenti che evocano le danze di corte alludendo, ovviamente, alla passione amorosa (responsabile movimenti mimici Luca Condello).

Nei panni del Maestro di cappella il baritono Federico Longhi, un artista completo, un cantante dotato di voce seducente e solida tecnica, senza parlare delle sue doti attoriali.

Il compagno d’avventura sul palcoscenico del Filarmonico, Gianni Schicchi, arriva dal teatro Regio di Torino nella regia di Vittorio Borrelli ripresa da Matteo Anselmi. La parte conclusiva del Trittico pucciniano è una cosa fatta cosi bene (parafrasando le parole di Arturo Toscanini riferite a più opere) che è praticamente impossibile creare un brutto spettacolo. La regola è valida per l’allestimento torinese; il regista apparentemente si ispira al genere di commedia all’italiana conosciuta sia nella versione teatrale sia cinematografica. Ne viene fuori uno spettacolo gradevole e divertente, ma non senza sfumature dure e ciniche. I parenti del defunto Buoso Donati, il cui corpo giace immobile su un letto enorme, vengono visti come un branco di pecore tanto simili quanto agitate, si spostano quasi sempre in gruppo, senza perdere, però, la fisionomia piuttosto indimenticabile di ognuno. Ed ecco che arriva il Pastore, il Salvatore… Chi è? Ma Gianni Schicchi, naturalmente, un uomo di mondo, esperto e disilluso, addirittura senza pietà. Nei suoi panni un grandioso, senza alcuna esagerazione, Federico Longhi che non fa un minimo tentativo di edulcorare il personaggio, Il suo Gianni non è migliore degli avidi parenti del morto, soltanto il bene della figlia gli interessa e soltanto per lei è disposto a “sopportare” Rinuccio. Longhi conferma la sua reputazione di uomo di teatro molto versatile, ed è altrettanto apprezzabile come cantante: voce ricca di sfumature, emissione morbida del suono e accento variegato ed espressivo. Attorno a lui, una compagnia di canto davvero efficace, a cominciare da due giovani interpreti dei ruoli di Lauretta e Rinuccio, rispettivamente Barbara Massaro e Giovanni Sala, che devono conquistare il pubblico con due pezzi celeberrimi, "O mio babbino caro" e "Avete torto!.. Firenze è come un albero fiorito". L’impresa non facile riesce ad entrambi, nonostante dei minuscoli difetti. Tra i numerosi parenti di Buoso spicca una divertentissima e spassosa Rossana Rinaldi nel ruolo di Zita, ma si difende bene tutto il resto del cast: Ugo Tarquini – Gherardo, Elisabetta Zizzo – Nella, Marco Bianchi – Gherardino, Dario Giorgelé – Betto di Signa, Mario Luperi – Simone, Roberto Accorso – Marco, Alice Marini – la Ciesca, Maurizio Pantò – Pinellino. Niccolò Rigano – Guccio, Alessandro Busi – Maestro Spinelloccio/Ser Amantio di Nicolao.

L’azione è spostata nel Novecento e ciò non danneggia minimamente il capolavoro pucciniano, la cui vicenda sarebbe potuta svolgere in qualsiasi epoca. Semplici e funzionanti sono le scene disegnate da Saverio Santoliquido e Claudia Bonasso con il loro elemento principale, un largo lettone dove giace il corpo del defunto Buoso e in cui si mette con la massima disinvoltura il furbetto Gianni. I sobri costumi di Laura Viglione sono aderenti all’epoca e le belle luci di Paolo Mazzon contribuiscono alla creazione di un’atmosfera un po’ dark.

Nel pieno successo dell’ultima parte del Trittico pucciniano gioca un ruolo importante il giovane direttore Alessandro Bonato, che conduce i professori areniani conmano sicura, puntando su dinamiche vivaci e colori forti.

Successo indiscusso per un dittico inedito e applausi calorosi per tutti gli interpreti.

foto Ennevi