L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Nel giardino dei Medici

 di Francesco Lora

Al Maggio Musicale Fiorentino, gli intermedi per La Pellegrina ritrovano la via della scena ma scambiano la magnificenza teatrale con l’ironia e il kitsch. L’erudita ma vivida lettura del concertatore Federico Maria Sardelli, scortato dagli strumenti del suo Modo Antiquo, mette invece al sicuro la parte musicale.

FIRENZE, 16 giugno 2019 – Non sono un’opera in senso proprio, ma ne furono la prova generale. A Firenze, nel 1589, per le nozze di Ferdinando I de’ Medici, granduca di Toscana, e Cristina di Lorena, andò in scena al teatro negli Uffizi una commedia di Girolamo Bargagli, La Pellegrina: essa fu di pretesto per sei memorabili intermedi musicali all’uso delle corti del Rinascimento, uno preposto, quattro intercalati e uno posposto ai cinque canonici atti di quel dramma. Pretesto: durante le feste gli intermedi furono eseguiti altre tre volte, ma due di queste in accompagnamento di commedie diverse; nulla li legava a un preciso testo recitato, se non che questo predisponesse sei spazi. Intermedi: ossia arazzi musicali della durata media di dodici minuti l’uno, formati ciascuno da quattro-sei brani – tra sinfonie, madrigali da una a trenta voci, fino a uno spettacoloso ballo finale, con le sue mutanze di metro e passo – e con poca o nessuna azione psicologica, ma con l’avvio della convergenza logica, uditiva e visiva tra la poesia teatrale, il personaggio e il cantante che lo interpreta monodicamente, e con una poderosa presenza di masse corali anche in dialogo tra loro (sono di fatto esse, qui, i primi personaggi). Un prodromo dell’opera, insomma, meglio fissata un decennio più tardi, ma forse non più mai con lo stesso favoloso dispiegamento vantato nel 1589: contrappuntistico, timbrico, scenografico e coreutico, nonché avanguardistico, eclettico, sinestetico e propagandistico. Accanto a cinque poeti e a Bernardo Buontalenti come scenografo e costumista, i compositori furono sette: il grosso lo fecero Cristofano Malvezzi, maestro di cappella del granduca e nel Duomo, e Luca Marenzio, principe dei madrigalisti ante Monteverdi; con uno o due brani a testa contribuirono però anche Antonio Archilei, Giulio Caccini, Giovanni Bardi, Jacopo Peri ed Emilio de’ Cavalieri (suo l’imponente brano conclusivo, poi parafrasato un’infinità di volte come “Aria di Fiorenza” o “Ballo del Granduca”). Musica da rappresentare, ma nella dinamica fissità di arazzi.

Memorabile è rimasta l’esecuzione degli intermedi data nel 2011 a Firenze, Palazzo Vecchio, Salone dei Cinquecento, dal concertatore Federico Maria Sardelli e dagli strumenti del suo Modo Antiquo: un’esecuzione della più alta efficacia evocativa ma non, appunto, rappresentazione; cosa prudente: meglio non competere con la magnificenza di bozzetti e figurini buontalentiani. Ci ha provato ora il Maggio Musicale Fiorentino, per tre recite nel Giardino di Boboli, il 16, 18 e 22 giugno. Il regista, Valentino Villa, si è reso conto di una drammaturgia e di una scenografia fuori standard, e ha apparecchiato uno spettacolo che innanzitutto si disfa della convenzione: il pubblico insegue gli artisti nel giardino, guadagnando differenti scene dislocate in tre punti; il parallelo fil rouge narrativo non pretende la stretta cucitura drammatica dei sei scomparti. Ma con l’esiguità del budget va in crisi l’idea stessa. Gesto, luoghi e costumi rigettano l’erudizione di una filologia dello spettacolo, auspicabile al cospetto di un testo enorme e così connotato storicamente: scelta la via dell’ironia e del kitsch – l’arte di ridere della storia con chi poco o nulla ne sa, né vuol sapere – nemmeno gli scorci di Palazzo Pitti compensano la rinuncia alla magnificenza, implicita negli intermedi e qui sostituita con modesto vestiario carnevalesco, appetitosi semi-nudi maschili e sbandieratori da sagra paesana. La cultura all’origine degli intermedi della Pellegrina è altra cosa. Quanto alla musica, sottile e reservata, fatta per intenditori di ieri e di oggi, soffre nel passare dal chiuso all’aperto. Torna a respirare grazie alla vivida lettura che ne dà, ancora una volta, col Modo Antiquo, il collaudato Sardelli: la sua prova di erudizione non teme il capriccio del budget. Tra il canto solistico di Rossana Bertini, Elena Bertuzzi, Candida Guida, Paolo Fanciullacci e Marco Scavazza si distingue quello di Mauro Borgioni, stilisticamente il più attento, rifinito e originale. Voci tutte all’italiana quelle nei cori del Ricercare Ensemble e della Compagnia Dramatodìa: un giardino di timbri nel giardino dei Medici.

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