L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Saluti dal 1913

 di Irina Sorokina

Il più classico dei classici dell'Arena di Verona, Aida nella ricostruzione dello spettacolo del 1913, torna ad affascinare grazie una compagnia di canto eccellente, capitanata da una splendida Anna Pirozzi, con Anna Maria Chiuri, Murat Karahan, Amartuvshin Enkhbat e Dmitry Beloselskiy. 

VERONA, 27 giugno 2019 - È difficile immaginare che la quantità delle rappresentazione della stessa opera sullo stesso palcoscenico possa raggiungere alcune centinaia. Tuttavia, tutto è possibile se si tratta dell’Arena di Verona, il più fantastico, il popolare, il più lanciato teatro all’aperto del mondo. E qual è l’opera che ha raggiunto una tale mastodontica quantità di repliche? Ma Aida, naturalmente. Se l’Arena è simbolo di Verona, l’Aida è simbolo dell’Arena. Le parole “Verona - Arena – Aida” formano nella testa del visitatore/spettatore qualcosa simile a una filastrocca. Aida fu lo spettacolo inaugurale nel 1913 e l’Aida vanta più repliche in assoluto.

Il best seller verdiano conta in Arena una notevole quantità di messe in scena. Tutto partì nel lontano 1913 quando al grande tenore Giovanni Zenatello venne l’idea di trasformare un anfiteatro tomano in un teatro all’aperto. Nell’ormai lontano 1999 il celebre designer e regista Pier Luigi Pizzi mise in scena un’Aida elegante e minimalista che si distinse per una gamma particolare di colori, cobalto e argento. Nel 2002 il suo posto prese l’Aida di Franco Zeffirelli nello stile kolossal, tutta d’oro, dove masse enormi di mimi e coristi si spostavano da destra a sinistra e viceversa. La peggior Aida in assoluto fu firmata da Giampiero Solari nel 2007: un allestimento mostruoso che, per fortuna, non durò a lungo. Nel 2013 una chance fu concessa al gruppo teatrale catalano La Fura dels Baus che trasformò il capolavoro verdiano a qualcosa simile a un circo e tutt’altro che bello. Il divino Preludio servì da sottofondo allo smontare un antico bassorilievo egiziano, nel secondo atto sugli antichi gradini dell’anfiteatro si gonfiarono le dune, mentre le danze vennero sostituite da un teatrino di ombre cinesi. Nella scena di trionfo dominarono animali meccanici. Quest’ultimi, stavolta i coccodrilli (o meglio dire, i mimi mascherati da questi esseri feroci) non mancarono nel terzo atto. Non si sa perché La Fura dels Baus dimostrò una tale preferenza per gli abitanti dello zoo. Alcuni spettatori non riuscirono a sopportarlo e andarono via.

Una lunga pratica dimostrò che il maggior successo è ottenuto sempre dalla versione firmata da Gianfranco De Bosio nel 1982, una rievocazione dello spettacolo del 1913, con le scene e i costumi ricostruiti secondo gli schizzi e le fotografie d’epoca. A qualcuno può sembrare noioso e dai ritmi troppo lenti, ma quando bravi cantanti calcano l’enorme palcoscenico dell’Arena, il lussuoso spettacolo funziona ed è grado di dare grandi soddisfazioni a un pubblico internazionale.

Le scene riscostruite non sono altro che un kit di elementi egiziani che fanno parte dell’immaginario collettivo, cioè palme, colonne, statue, sfingi. I costumi possono mettere in risalto le linee armoniose di un/a cantante, ma se una o uno di loro ha qualche chilo di troppo peggiorano la situazione. La regia di De Bosio non è altro che una scrupolosa messa in scena del libretto. Il regista affermò che venne guidato dal documento steso dal Verdi stesso per il direttore di scena pubblicato dalla Casa editrice Ricordi nel 1872. Negli ultimi anni lo spettacolo si è abbellito dal ripristino del favoloso baldacchino sopra il tempio, che faceva parte delle scenografie originali di Ettore Fagiuoli. La sua bellezza, pressappoco divina, ha reso la scena dell’addio degli infelici amanti indimenticabile. Oltre a ciò, il pubblico da sempre ha tratto grandi soddisfazioni dalla scena del trionfo, con la partecipazione di grandi masse di coristi, comparse e addirittura cavalli, senza parlare delle danze di Susanna Egri, migliori in assoluto di tutte le edizioni areniane della famosa opera verdiana.

La sera in questione alla bellezza un po’ arcaica dell’allestimento si è aggiunto un ottimo cast e la rappresentazione dell’Aida si è trasformata nel miracolo che tutti desidererebbero.

Nei panni della protagonista Anna Pirozzi appare in stato di grazia, già in possesso di una voce di soprano lirico spinto potente, ben timbrata, ben estesa e di una tecnica salda. In "Ritorna vincitor... Numi pietàha cantato con una grinta e sensibilità ammalianti, filati raffinati, colori incisivi, sfumature passionali. Meglio ancora "O cieli azzurri", dove la voce ha letteralmente galleggiato sopra lo spazio enorme dell’anfiteatro con luna delicatezza raramente sentita e chiaroscuri raffinatissimi. Un’Aida senza un minimo errore, mai sopra righe.

La maestria della Pirozzi si è rispecchiata nell’interpretazione di Anna Maria Chiuri nel ruolo di Amneris, una cantante intelligente e da mille volti, che recentemente abbiamo avuto piacere di sentire in ruoli così diversi come Laura nella Gioconda e Frugola nel Tabarro. In possesso di una voce calda e morbida, un fraseggio elaborato e una dizione nitida, anche lei ha cantato senza un minimo sforzo, con un cenno alla stanchezza alla fine della scena del giudizio, del tutto comprensibile.

Murat Karahan ha iniziato con una certa cautela e nella perfida romanza "Celeste Aidaha rivelato una certa incertezza espressa nella disomogeneità del suono. Tuttavia ne è uscito vincitore, il suo si bemolle finale non ha affatto sfigurato, nonostante un’evidente opacità. La prestazione del tenore turco è andata in crescendo, pur senza grinta particolare, e in "O terra addio" è riuscito a sfoggiare sonorità davvero bellissime, galleggianti, se così si può dire, in piena armonia col canto della sua Aida, Anna Pirozzi.

Il baritono mongolo Amartuvshin Enkhbat ha brillato di luce propria in questa recita già piena di stelle. Abbiamo ascoltato un vero baritono verdiano, dalla voce bella, voluminosa e “burrosa” se così si può dire, e in possesso di una tecnica impeccabile. Ma il cantante proveniente da un paese così lontano dall’Europa ha conquistato il pubblico soprattutto dall’interpretazione, riuscendo a trasmettere lo spirito eroico e indomabile del re etiope.

Formidabile è stato il basso russo Dmitry Beloselskiy, una voce profonda e di grande volume, nei panni di Ramfis, affiancato da non meno efficace e affascinante Romano Dal Zovo come Faraone.

Hanno completato il cast Carlo Bosi, un messaggero di buon squillo, e Yan Bo Hui , una sacerdotessa dalla voce morbida e ben proiettata.

Sul podio, Francesco Ivan Ciampa ha offerto un lettura di tutto il rispetto, dai colori smaglianti e dinamiche giuste, adottando tempi troppo incalzanti per quanto riguardo le danza, cosa che comunque non ha influenzato la qualità di prestazione del corpo di ballo e tre spettacolari ballerini, Petra Conti, Mick Zeni ed Alessandro Macario. Bravissimo, come sempre il coro areniano preparato dal maestro Vito Lombardi.

Un serata segnata da caldo eccezionale e dalla calorosa accoglienza del pubblico, pienamente meritata.


 

 

 
 
 

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