L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Ferro, fuoco e un suicidio inaspettato

 di Irina Sorokina

Lo spettacolo volutamente fiabesco, a forti tinte, di Franco Zeffirelli è la cornice per un Trovatore dal cast memorabile. Anna Netrebko debutta in Arena con una Leonora da antologia, ma non sono da meno il Manrico raffinato ed eroico di Yusif Eyvazov, il virile Conte di Luna di Luca Salsi e la storica, tormentata Azucena di Dolora Zajick.

Leggi anche il punto di vista di Francesco Lora

VERONA, 29 giugno 2019 - L'Arena di Verona è, senza dubbio, un palcoscenico unico al mondo. Il suo Opera Festival in oltre un secolo di esistenza ha elaboratato le proprie leggi e dimostrato di non voler concedere spazio agli sperimentatori. Nella città di Romeo e Giulietta è difficile vedere qualche spettacolo innovativo. Gianfranco De Bosio, Franco Zeffirelli, Pier Luigi Pizzi hanno contribuito alla creazione di uno stile “areniano” segnato dall’uso di scenografie spettacolari e grandi masse di coristi, mimi e comparse, spesso con partecipazione di animali. Ci sono passati anche artisti della caratura di Hugo De Ana, di cui Nabucco rimane tanto indimenticabile quanto inarrivabile, e Graham Vick con la sua originale Traviata. Si sono viste delle cose non belle, quale l’Aida messa in scena da Giampiero Solari, poco incisive, come Nabucco firmato da Denis Krief, discutibili, come l’Aida nella versione della Fura dels Baus, tuttavia il nome di Franco Zeffrelli è diventato quasi un simbolo dello stile “areniano”.

Il regista fiorentino è diventato a Verona di casa e in circa vent’anni di attività ha messo in scena molti titoli del cosiddetto grande repertorio, quali Carmen, Aida, Il trovatore, Turandot, Don Giovanni. Tutte queste produzioni si sono distinte per le stesse caratteristiche: l’evidente tendenza alla grandiosità, enormi masse di artisti in scena e le loro marce “tutti insieme”, quantità esagerata di accessori, tante, tantissime danze. Quest'ultimo aspetto fa venire in mente il famoso trattato di Benedetto Marcello Il teatro alla moda dove il compositore veneziano ironizzava riguardo l’eccesso dei balli nelle opere a lui contemporanee. A proposito, Verdi, che a volte era obbligato di scrivere le musiche ballabili, detestava questa usanza.

Il trovatore, andato in scena nel 2001 e poi ripreso nel 2002, 2004, 2019l, 2013 e 2016 non è stato un’eccezione. Al momento della prima il regista aveva ben 78 anni ed era chiaro che il pubblico avrebbe assistito a qualcosa già visto. Come sempre, il Maestro fiorentino ha vestito i panni di regista e di scenografo; le scenografie ideate per Il trovatore erano belle e al pubblico piacquero. Belle erano le torri medievali, le figure dei guerrieri, la sontuosa cattedrale gotica illuminata nascosta nella torre centrale (il più grande effetto visivo dell’allestimento). Belli erano i costumi di Raimonda Gaetani. Ma soprattutto belle erano le atmosfere notturne, misteriose ed inquietanti. Secondo il nostro parere, rimane il più bello e funzionante spettacolo mai realizzato dal regista fiorentino in Arena; il perché sta nel fatto che non si pensò alla metafisica, ma con apprezzata franchezza si ammise che la natura del Trovatore è fiabesca. Del resto, il genere stesso del melodramma è strampalato.

Quindi, evviva le scene favolose, ricche e elaborate, ma nella misura giusta, evviva i danzatori in abiti dai colori vivaci, evviva i due cavalli bianchi, da sogno. Evviva anche qualcosa che strappa un sorriso, come le gestualità dei personaggi, simili a quelle immortalate dalle foto dell’inizio del secolo scorso, come le corde attaccate ai polsi di Azucena (non sia mai che due uomini grandi e grossi non siano in grado di non far scappare una donna anziana!). Evviva anche gli “effetti speciali” anche se tanto semplici, quanto i cieli colorati, a volte blu notte, a volte rosso fuoco, evviva decine di sbandieratori la cui missione è ravvivare la scena.

La serata del 29 giugno prometteva di essere speciale grazie alla partecipazione di due stelle russe nelle parti degli innamorati, Anna Netrebko e Yusif Eyvazov, compagni nelle vita e sulla scena, ma anche il resto del cast era stellare: Luca Salsi nei panni del Conte di Luna e Dolora Zajick nel ruolo della zingara Azucena. Il risultato ha superato ogni aspettativa; la serata calda (anche se non tantissimo, se confrontata a quella precedente quando è andata in scena la meno felice Traviata dello stesso Zeffirelli) si è trasformata in una vera festa di canto.

Cominciamo dall’acclamato soprano Anna Netrebko che è stata la vera protagonista della serata. Anna non necessita di presentazioni, è una brava, bravissima artista. Qual è il segreto? Probabilmente, è molto semplice: il segreto sta nella sua vivacità. È un’artista che trasmette interesse per la vita, che canta con trasporto, che è capace di vivere passioni così smisurate e poco familiari al pubblico d’oggi con estrema naturalezza. Inizia appena sotto tono, sfoggia una voce un po’ opaca. Ma dopo pochi istanti la voce si scalda, vola, riempie l'enorme spazio areniano e regala emozioni forti. Ammirevole la tecnica della Netrebko, i suoi filati raffinatissimi, le sue “sospensioni” che contribuiscono all’espressività di canto.

Yusif Eyvazov, sorprende pure lui, anche se in modo diverso. È un cantante in continua crescita; ricordiamo il suo Andrea Chénier alla Scala soltanto un anno e mezzo fa. Oggi nei panni di Manrico sfoggia una voce più raffinata, il timbro ha acquistato più squillo, l'accento è più giusto, il fraseggio più elaborato. "Ah si, ben mio coll’essere" è cantato con una qualità di legato sorprendente e nella "Pira" i primi acuti risultano subito impeccabili, solo nel finale un po’ meno preciso. E poi lo spirito eroico, la cosa più difficile. È una cosa totalmente estranea ai nostri tempi, e se un interprete non se la sente sua, rischia di cadere nel ridicolo. L’eroico Manrico di Eyvazov è credibile, una cosa davvero entusiasmante.

Dolora Zajick è una grande, grandissima Azucena, veste i panni di una donna emarginata, lacerata da sentimenti contraddittori, quasi folle. Certe difficoltà motorie non fanno altro che contribuire alla creazione del personaggio molto amato da Verdi. La sua voce tanto forte quanto morbida riempie senza alcuna difficoltà tutto l’anfiteatro.

A Luca Salsi, ormai riconosciuto il baritono verdiano per eccellenza, calza bene il personaggio dello spietato Conte di Luna. La voce è virile e brunita, la tecnica salda, la recitazione grintosa. A tratti il timbro risulta leggermente opaco, l’emissione del suono non abbastanza morbida e la linea del canto in "Il balen del suo sorriso" non omogenea. Tuttavia pieno successo anche per lui.

Molto bravo Riccardo Fassi nel ruolo di Ferrando, dalla voce rotonda che vola libera e dalla buona dizione. Carlo Bosi è un Ruiz energico e incisivo, Elisabetta Zizzo è un’Ines dalla voce lucente. Completano il cast Dario Giorgelè (un vecchio zingaro) e Antonello Ceron (un messo).

Una serata eccezionale. Molti compatrioti della coppia di protagonisti fra il pubblico, applausi a non finire, molte richieste dei bis, mai concessi, ma nessuno sembra scontento. Anna Netrebko ringrazia i suoi fan con un inchino profondo, molto grazioso, non la lasciano andare via. Yusif Eyvazov viene acclamato come un eroe. Una calorosa accoglienza a Dolora Zajick e Luca Salsi, a tutto il resto del cast, a Pier Giorgio Morandi, che sul podio ha messo la sua maestria al servizio del canto e dei cantanti.

In uno stato di grazia il coro areniano preparato da Vito Lombardi e molto partecipe il corpo di ballo che esegue le coreografie di El Camborio riprese da Lucia Real.

Per concludere, una curiosità: dopo aver visto il supplizio di Manrico dalla finestra, Azucena nella versione scenica del Maitre fiorentino non cade a terra, come recita il libretto, ma preferisce reagire in un modo molto più forte e spettacolare e si trafigge con un pugnale come Madama Butterfly. Un’altra esagerazione del regista. Ma, in questo Trovatore ardente che scuote gli animi, può starci.

foto Ennevi


 

 

 
 
 

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