L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Il catalogo è questo

 di Sergio Albertini Mancuso

Ottima resa musicale, con una lode speciale per il Don Ottavio di Marco Ciaponi, per Don Giovanni al Teatro Lirico di Cagliari. Benché annunciato come "nuova produzione da un'idea di Giorgio Strehler", lo spettacolo sembra in realtà una fedele ripresa dello storico allestimento.

CAGLIARI, 24 luglio 2019 - A chiunque ami il melodramma, e possa avere anche l'occasione di girar per teatri per vecchi e nuovi allestimenti, sarà capitato di aver assistito all'esecuzione di Don Giovanni, capolavoro mozartiano ai vertici della storia dell'opera. Anche a me, ovviamente, sin dagli anni '70, è capitato. E conservo ricordi, ad esempio, di una matura Gencer a Torino procedere all'interno di una falsa prospettiva tromp l'oeil con incedere aristocratico e in sincrono con i tempi musicali. E poi, senza far nomi o indicar luoghi, belle edizioni, brutte edizioni, edizioni di routine. Idee e regie preziose, trovate di facile effetto per la serie “famolo strano”... Don Giovanni con una dozzina di bare sulla scena che diventano porte di accesso e di uscita. Una sfilata di drag queen incinte vestite con abiti da sposa.

Ma una cosa così non m'era mai successa.

Ecco, veniamo al dunque. Cagliari, nel suo Teatro Lirico, annuncia una 'nuova produzione' di Don Giovanni. A quattordici anni dall'ultima volta che s'era ascoltato in città. La locandina, che sciorina un cast oltremodo interessante (e così sarà, se ne dirà dopo), definisce lo spettaccolo una “nuova produzione”. E indica come autore delle scene Cristian Demuro, che ha firmato già numerosi allestimenti, dalla Salome straussiana a Roma (regia di Giorgio Albertazzi) a un Otello a Savonlinna. Ora, quelle scene sono, ma pari pari, le scene di Ezio Frigerio per il Don Giovanni del 1987 alla Scala. Non un cambio, un ribaltamento di quinta. Il fondale nebbioso, con gli alberi, le scale, le balaustrine del terrazzo, le colonne, il sipario conn cui si apre l'opera... tutto, ma proprio tutto tutto, identico.

Di più. La regia è firmata da Daniela Zedda. cagliaritana, che nel curriculum inserito nel programma di sala risulta collaboratrice, assistente alla regia, direttrice di scena per molti importanti nomi di registi d'opera. Ancora, è la locandina a indicare che la regia di Daniela Zedda è “da un'idea di Giorgio Strehler”. Da un'idea? Ma se lo spettacolo è identico! Basti possedere la videocassetta, il dvd, o semplicemente cercare su youtube per accorgersi che ogni azione, ogni gesto, ogni mossa sono quelle dello spettacolo di Strehler. Ho analizzato, ad esempio, la scena tra Zerlina e Masetto: il modo come lascai scivolare lo scialle sulle spalle, il suo passar sul corpo dell'amato, gli ammiccamenti sensuali delle mani sul suo corpo.

Una volta s'usava dire, magari “regia di Strehler ripresa da...”.

No. Era quella, tutta intera. Non “da un'idea di”. Son tutte idee di.

Per fortuna, ad annullare questo mistero irrisolto – ma di cui mi piacerebbe comunque un chiarimento dalla Direzione Artistica del Lirico cagliaritano [naturalmente anche la redazione dell'Ape musicale sarebbe lieta di accogliere un contraddittorio in merito. ndr] – c'era una esecuzione musicale pregevole, e a tratti eccellente. Innanzi tutto grazie alla concertazione minuziosa, precisa, attenta, rispettosa di Gérard Korsten. Il direttore sudafricano ha un lungo rapporto con Mozart, a partire dai suoi studi a Salisburgo con Sandor Vegh; direttore musicale a Cagliari dal 1999 al 2005, conosce bene l'orchestra, e me ha saputo evidenziare, come raramente mi è capitato, l'omogeneo suono quasi setaceo della sezione dei primi e secondi violini, il suono netto e morbido dei legni; un Mozart che reso come nelle orchestre cosiddette 'filologiche', senza enfasi e ipertrofia romantica, ma con la ricerca di un suono 'classico', in assoluta sintonia con le voci. Fior di voci. Un personale successo l'ha riscosso Monica Baccelli, strepitosa Donna Elvira; mozartiana di classe, esibiva messe di voce, pianissimi, acuti pieni e assieme come sospesi su una vertigine, associando al canto una prova attoriale superba. La sua fissa immobilità durante lo sciorinare del catalogo da Leporello, la statuaria postura nei momenti più tragici ha incantato il pubblico, che l'ha premiata con meritate ovazioni. Non meno efficace il Don Giovanni ben rodato di Nicola Ulivieri; il suo eroe era connotato da una sfrontata sicurezza, fino al disperato appello finale. Il timbro ben rotondo, pieno, particolarmente risonante nel registro grave si associava a un fraseggio curato, cosa che non si può pienamente dire del suo 'alter ego', il Leporello di Daniel Terenzi, che a mio avviso, sottolineava troppo, vocalmente, certi accenti indicati in partitura, e che non riusciva a mettere a fuoco – tranne che nel finale – il personaggio, ora complice, ora stancamente sottomesso ai voleri del padrone. Una sorpresa la Donna Anna della statunitense Heather Engerbretson, dalla bella carriera (a leggerne il curriculum): voce fresca, figura minuta, restituiva una Anna quasi adolescente, ingenua, calata in un mondo adulto crudele. Zerlina era la rumena Valentina Farcas, piena di brio, ricca di nuance nel duetto con Don Giovanni così come in quello con Leporello (la versione scelta era un misto di quella di Praga e di Vienna, e quindi era presente il non comune duetto tra Zerlina e Leporello). Masetto che era Nicola Ebau, in cui erano evidenti i trascorsi da attore di prosa.

Ottimo il Commmendatore di Cristian Saitta, dal registro grave di impressionante volume.

Su tutti, però – e anche lui premiato da un caloroso ed entusiastico consenso – il Don Ottavio di Marco Ciaponi. Allievo, tra gli altri (oggi, principalmente, Cinzia Forte), di Giuseppe Sabbatini, dal maestro ha appreso e fatto suo il controllo di una paletta dinamica impressionante. Certi sfumando, certi crescendo, l'uso di un falsettone morbidissimo nei pianissimi, il controllo e la gestione del fiato in arcate lunghissime, legatissime, la morbidezza espressiva sia in 'Il mio tesoro' sia in 'Dalla sua pace' hanno evidenziato un tenore di gran classe di cui sarà interessante seguire i futuri sviluppi.

Prova eccellente (anche scenicamente, in quei tableaux vivants che si mettono in moto con azioni lentissime) del coro, preparato e diretto da Donato Sivo; misurata prova nei recitativi del cembalo di Giancarlo Salaris e rispettose luci (che ovviamente si rifacevano all'antico progetto strehleriano) di Alessandro Verazzi. Le danze contadine di Luigia Frattaroli erano misurate e di gusto. I costumi (che solo qui e là richiamavano in certi colori – come il rosso di Donna Elvira – quelli di Franca Squarciapino, e certamente meno ricchi ed elaborati) erano di Marco Nateri; e sicuramente originali.

Non come scene e regia, ribadiamo.


 

 

 
 
 

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