L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Il milite Otello

 di Giuseppe Guggino

Nello spazio all’aperto di Villa Margherita il Luglio Musicale Trapanese vara la quinta nuova produzione, in un climax di aspettative per lo spettacolo affidato ad Andrea Cigni, che declina un Otello ben risolto, crudo, alla ricerca dell’universalità della bassezza. Fra i solisti emerge la Desdemona accurata di Francesca Sassu, al debutto nel ruolo.

Trapani, 11 agosto 2019 - Con un battage mediatico un poco ruffiano il Luglio Musicale Trapanese ha saputo catalizzare attese e riprovazioni preventive su questo Otello verdiano, varato come ultima nuova produzione del cartellone. Ma se dallo spettacolo di clamore al grande spettacolo il passo è sovente molto lungo, l’intelligenza di Andrea Cigni e del suo team creativo si rivela sin da subito in grado di azzerare le distanze. Il punto di partenza concettuale dell’idea registica è uno scritto di Giuseppe Tomasi di Lampedusa sull’Othello scespiriano, che suggerisce a Cigni un’ambientazione militare del plot, trasposto in una Cipro occupata fra le due guerre mondiali. L’idea di per sé non nuova (si pensi alla brandina del quarto atto dell’Otello firmato da Graham Vick) è però radicalmente declinata, tutto sommato con pochissimi punti di conflitto col libretto, oltre un «Abbasso le spade» sancito al culmine di una scazzottata e poco altro. Ciò che invece riesce a incollare gli occhi alla scena sino alla fine è il taglio neorealista improntato alla crudezza, che costituisce la cifra distintiva del lavoro teatrale, a cui tutti i solisti e gli artisti del coro sembrano voler aderire con evidente convinzione, rivelatrice di un lavoro preparatorio svolto con grande perizia.

La scena “fluida” di Tommaso Lagattolla è costituita da un grande girevole con al di sopra una struttura a volumi prismatici capace di realizzare rapide mutazioni di configurazione che, più che impropri cambi di scena (se ne contano una quindicina almeno), si traducono in vere e proprie inquadrature cinematografiche. Capitalizzando al massimo le risorse un impianto scenico siffatto e dalle enormi potenzialità, Cigni aggiunge azione al percorso drammaturgico del libretto, ma sempre con la capacità di catalizzare, di moltiplicare, senza mai disturbare o – peggio – distrarre. Ecco che, a titolo di esempio, nel dialogo iniziale fra Jago e Roderigo, dopo la tempesta, i due attendono alla doccia con il nudo di altri due commilitoni sul fondo di cui forse troppo s’è parlato, probabilmente senza rendere abbastanza giustizia al ragguardevole lavoro scenotecnico di ricerca su textures e materiali di Lagattolla e dei laboratori del Luglio, che – da solo – varrebbe allo spettacolo la ripresa in uno spazio chiuso, dove è giocoforza più facile soffermarsi a distanza più ravvicinata sui dettagli nonché fornire a Fiammetta Baldiserri maggiori risorse e possibilità per il suo progetto luci. A contribuire alla cifra estetica ben connotata dello spettacolo anche i costumi in perfetta sinergia con le scene, firmati sempre da Tommaso Lagattolla.

Se probabilmente rintracciare l’eros nel duetto che chiude il primo atto è tra le soluzioni meno convincenti, se non altro perché sottrae quella poesia che invece è (o dovrebbe essere) in orchestra, la quantità di idee e situazioni ben risolte inanellate per tutta la serata è tale da riscattare ampiamente lo spettacolo; il secondo atto che vede Otello e Jago conversare distrattamente, intenti al disbrigo di dispacci militari, val da solo il prezzo del biglietto, senza contare il brivido nabokoviano che percorre la schiena allorquando, al terzo atto, con inaudita violenza, sulla «vil cortigiana ch’è la sposa d’Otello», il moro protende la mano sull’inguine dell’amata, mettendola in fuga.

Dell’adesione del cast ad un disegno registico sì audace s’è detto, bisogna aggiungere che la qualità visiva dello spettacolo riesce a tramutare in successo collettivo una distribuzione vocale non sempre ineccepibile e soprattutto una prova della pur volenterosa Orchestra del Luglio Musicale – guidata da Andrea Certa – talvolta fin troppo perfettibile nell’andare insieme, con un’aura di eccessiva incertezza nel servire il canto di conversazione e sovente caratterizzata dal prevalere dei legni sugli archi. Sugli scudi invece la prova sia delle voci bianche di Roberta Caly, sia quella del Coro del Luglio, istruito da Fabio Modica, emendabile solamente per i soprani sul Leon di San Marco.

Kristian Benedikt è Otello dalla voce grossa e grezza, nonché dalla dizione oscura, che porta però a casa la recita. Angelo Veccia, ad onta di una voce non bella, gioca molto sulle intenzioni interpretative facendo uno Jago dalle mille sfaccettature psicologiche, mentre Francesca Sassu – al debutto nel ruolo – si rivela di gran lunga la migliore in campo, forte di un’emissione molto ben controllata e partecipe, occasionalmente meno incisiva solamente nel registro grave.

Simona Di Capua è un’Emilia di lusso, mentre nel comparto comprimariale maschile, eccettuato il Lodovico sonoro di Andrea Comelli e il Montano efficiente di Federico Cavarzan, le cose non vanno poi benissimo con Marco Miglietta come Roderigo e, soprattutto, con il Cassio talvolta troppo calante di Tatsuya Kashi.

Successo pienamente meritato, nubi di temute contestazioni dissipate sin dalla fine del primo atto, adesso l’ultimo appuntamento della stagione è con la ripresa della Traviata, già prodotta nella precedente edizione, sempre col tandem Certa-Cigni.


 

 

 
 
 

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