Tosca è un po' stanca

di Irina Sorokina

Il capolavoro di Puccini torna all'Arena nell'allestimento magnifico (nonostante la ripresa un po' stanca) firmato da Hugo De Ana. Nel cast, diretto da veterano Daniel Oren, Saioa Hernandez, Fabio Sartori e Ambrogio Maestri. 

Verona, 16 agosto 2019 in Arena. La Tosca di Giacomo Puccini nell’allestimento del regista scenografo e costumista argentino Hugo De Ana apparve all'Arena di Verona nell’ormai lontano 2006. Fu preceduta da un’esperienza non proprio felice con Nabucco sei anni prima, la più bella, spettacolare e coraggiosa messa in scena del titolo verdiano mai vista in Arena. Purtroppo, le difficoltà tecniche, per cui De Ana entrò in conflitto con la direzione del festival veronese, resero troppo breve la vita dell’allestimento. Con la successiva Tosca il maestro ebbe una vera vittoria, la sua versione del capolavoro pucciniano risultò molto bella e altrettanto efficace e rimase tale negli anni delle riprese. 

Vale sempre spendere parole d’ammirazione per questo capolavoro di scenografia e regia. C’è sempre qualcosa di sorprendente nell’organizzazione dello spazio e molte cose accomunano Tosca con il preсedente Nabucco, tra cui un grandioso pannello inclinato che nasconde parecchie sorprese.  Lo spazio sconfinato del palcoscenico areniano viene dominato da una testa enorme dell’Angelo che da secoli veglia sul castello romano che porta il suo nome. A fianco della testa ci sono due mani, una armata di una lunga spada e l’altra stretta in un pugno. Nell’ultimo atto la mano armata si avvicina alla terra senza pietà, segnando la fine imminente di Cavaradossi. I cannoni messi sul palcoscenico ricordano delle battaglie napoleoniche in corso. 

Il pannello inclinato è diviso in rettangoli che a volte si aprono mostrando interni “tappezzati” di specchi; le “tende” salgono facendo vedere il clero splendidamente vestito nel finale del primo atto, nel secondo si intravedono lampadari  che accennano  alla sala dove si esibisce Tosca, nell’ultimo atto in un rettangolo si vede la cella del condannato a morte Cavaradossi.  La spettacolare e grandiosa scenografia “recita” da sola e necessita di poche trovate registiche che, in ogni caso, non mancano: il quadro di Cavaradossi che “reagisce” con una caduta rumorosa  all’ingresso di Scarpia , che lo calpesta trionfalmente intonando “Un tal baccano in chiesa”. 

Un grande pregio del demiurgo argentino è saper creare atmosfere tese e suggestive; in Tosca è evidente la presenza di Roma, la città cattolica per eccellenza, quanto bella tanto schiacciante;  siamo avvolti in lusso che soffoca, grandiosità che colpisce e ammutolisce, teatralità che attrae.  Sono evidenti i riferimenti alla fede cattolica, non solo nel finale del primo atto, con una sfilata del clero di grande effetto, ma anche nel terzo dove Cavaradossi fucilato sulla croce è evidentemente imparentato con Gesù Cristo, e Tosca in posa finale sulla cima della testa dell’Angelo somiglia alla Madonna Assunta.            

La  ripresa del 2019 presenta un buon cast capitanato dalla cantante spagnola Saioa Hernandez, recentemente ascoltata nella Gioconda prodotta dai teatri dell’Emilia Romagna, oltre che nell'Attila scaligero nei panno di Odabella. Con tutto il rispetto, ci è sembrato che Tosca non sia totalmente nelle sue corde. La voce molto estesa e davvero immensa che riempie senza difficoltà lo spazio areniano, risulta monocorde, con una forte sfumatura aspra ed va pienamente d’accordo con l’interpretazione del personaggio di Tosca: la diva e protetta della regina è sempre agitata, un tantino rozza e aggressiva, percorre il palcoscenico spesso di corsa facendo fatica a “gestire” abiti d’epoca piuttosto impegnativi. Va decisamente meglio nell’atteso “Vissi d’arte” dove sembra calmata, rassegnata e offre un buon cantabile e un uso sapiente di chiaroscuri. 

Fabio Sartori nel ruolo di Cavaradossi alla fine se la cava con onore: privo di quell'evidente carisma scenico che sarebbe tanto gradita per impersonare l’amante di Tosca e limitato nei movimenti, canta da vero professionista. In “Recondita armonia” la voce tende ad assottigliarsi alla fine di ogni frase e l’acuto, anche se a posto, risulta in po’ teso e senza vero smalto. Ma va sempre meglio, via via che la recita va avanti; regala un’ottima interpretazione di ”E lucevan le stelle”, conquista per il fraseggio elaborato e la linea di canto condotta con cura, che permettono al pubblico di non badare troppo a un timbro che ha poco di personale. Gli applausi generosi sono pienamente meritati e il bis richiesto è offerto dal tenore senza difficoltà.   

Ambrogio Maestri, che festeggia i suoi vent’anni in Arena, offre uno Scarpia credibile; è un personaggio che gli appartiene, ipocrita, sadico ed erotomane. La voce piena  e caratterizzata da tanti colori risulta efficace sia nel declamato sia nei cantabili. Peccato per la zona acuta, che spesso rivela una certa tensione.          

Molto buoni e funzionanti i comprimari: Krzysztof Naczyk - Angelotti, Nicolò Ceriani – Sciarrone, Stefano Rinaldi Milliani – un carceriere e si distinguono personalmente i bravissimi Biagio Pizzuti – Sagrestano, che recita con naturalezza ed ironia e affascina per il timbro nobile, e Roberto Covatta - Spoletta, che crea un personaggio vivacissimo  di “segugio” e in “Della signora seguimmo la traccia” sfoggia  una voce squillante e una dizione scultorea. E’ nitido il canto di Enrico Ommassini nell’assolo di un pastorello,     

Daniel Oren è il direttore “areniano” per eccellenza, vanta un record di ben 500 recite; dubitiamo che verrà mai superato. Offre una lettura a lui perfettamente consona,  vulcanica, molto sicura e dinamica, con prevalenza di ritmi serrati, soprattutto nel duetto d’amore del primo atto. Come sempre, bravissimo il coro areniano sotto la guida di Vito Lombardi, affiancato dal Coro di voci bianche  A.LI.VE diretto da Paolo Facincani. 

Una Tosca a cui non manca il successo; ciò nonostante la ripresa teatrale di una messa scena efficace rivela una certa stanchezza, se così si può dire, e molti sono i posti vuoti.          

foto Ennevi