Classe, malizia e ritmo: Nozze senza spine 

di Alberto Spano

Soprendente produzione delle Nozze di Figaro al Teatro Duse, con l'entusiasmo di molti debutti e la classe luminosa di Cinzia Forte quale Contessa.

Leggi la recensione della recita del 6 ottobre a cura di Roberta Pedrotti :Bologna, Le nozze di Figaro, 06/10/2019

BOLOGNA, 4 ottobre 2019 – Recarsi al Teatro Duse il giorno di San Petronio e trovarlo pieno di un pubblico non di soli melomani, ma festoso e brulicante di giovani neofiti probabilmente alla loro prima esperienza all’opera. Aprirsi il sipario e assistere alle Nozze di Figaro di Mozart con un’orchestra di appena sei anni (la Senzaspine di Bologna) dunque non ancora avvezza ai segreti del repertorio d’opera. Trovare sul podio un giovane direttore bolognese, Matteo Parmeggiani, alle sue prime armi con il teatro d’opera e soprattutto al suo debutto nell’opera più grande e più difficile della storia, come del resto al suo debutto nel titolo è la metà del cast, il regista e tutti i collaboratori. Un coro semiprofessionale, certamente al suo debutto nell’opera, il Coro Komos Gay di Bologna, unito all’Accademia Corale Vittore Veneziani diretti da Lorenzo Orlandi e Maria Elena Mazzella, la presenza di cantanti provenienti da una master class con Cinzia Forte. Insomma, un insieme di ingredienti che potevano impensierire lo spettatore e il recensore, preoccupato quest’ultimo di dover giudicare col metro dell’indulgenza.

Ebbene, niente di tutto ciò si è avvertito, fin dalla Ouverture, ben condotta da Parmeggiani, con i tempi giusti, sonorità rifinite, belle dinamiche. E poi la sorpresa di una scenografia bella, semplice e funzionale, fatta di pochi elementi in scena: tante cornici gigantesche, che via via si trasformano in porte, finestre, arredi, ambienti, schermi. In primo piano i classici lenzuoli bianchi sulle poltrone di strehleriana memoria, luci calde, colori pastello, bella morbidezza di impianto scenografico, i movimenti fluidi, gli elementi chiari. La scorrevolezza musicale è imposta dal direttore che, per esigenze di assenza di buca, dirige da seduto e imprime a tutta l’opera un clima garbato. La postura da seduto giocoforza gli impone movimenti rilassati e quasi cameristici, che producono in orchestra begli impasti timbrici, un suono curato e un tactus sempre perfetto, per farla breve, “alla Giulini”. La lettura direttoriale è improntata infatti a una bella cura dei dettagli, ad una piacevole scioltezza, ad un lasciar respirare la musica e il canto. Lo si è capito immediatamente dall’ingresso di Figaro, e ammirevole è stata la capacità di tenuta di questa cifra narrativa semplice e nello stesso tempo raffinata per tutta l’opera, con una punta di intensità emotiva nel finale atto secondo. Un Mozart posato, intelligente e razionale che non sempre si ascolta nelle grandi produzioni. Dal canto suo il giovane regista Giovanni Dispenza riesce a coniugare questa eccellente maestria di concertazione anche in scena, mettendo a loro agio i giovani debuttanti e privilegiando una recitazione viva e naturale.

Nel caso della messa in scena con pochi mezzi di questi sommi capolavori è molto difficile dire o fare cose nuove, ma è anche vero che la “povertà” aguzza l’ingegno, e qui si sono sapute evitare l’ovvietà e il banale. Le buone regie si scorgono anche nei particolari, nella perfetta mobilità in scena dei cantanti, nella capacità di messa a fuoco dei personaggi, tutte cose che si son notate ad abundantiam per tutti e quattro gli atti.

“I piccoli teatri di una volta eran se si può dire delle rosticcerie del sentimento pubblico. Un podio da saltimbanchi, quattro lumi a petrolio, e qualche testa da morto bastavano all’uopo – scriveva Bruno Barilli nel 1930 – Fra il pubblico e gli artisti in un lampo s’avverava il contatto: ed eran gridi, abbracci, fischi, baci e coltellate”. Venivano spesso in mente queste parole nel vedere questa nuova produzione di Nozze di Figaro, fatta di poco e niente (lenzuola morbide sui mobili fanno casa da arredare, quattro frasche verdi fra le cornici adagiate a terra fanno giardino, etc. etc.), qualche bella proiezione nelle stesse cornici con caratteri fantasiosi dei versi più importanti dell’opera (eccellente nel caso dell’aria di Basilio), un pizzico di gusto e leggerezza e il tutto rasenta la perfezione.

Come la freschezza e la leggiadria di molti cantanti spesso equilibra alcune mende tecniche e vocali, come è il caso dei giovani ascoltati il 4 ottobre, Abrahm Garcia Gonzalez (Il Conte), Daniela Cappiello (Susanna), Adelaide Minnone (Marcellina), Enrico Marchesini (Bartolo), Angelo Goffredi (Basilio e Curzio) e Anastasia Skenderaj (acerbissima Barbarina), i quali chi più chi meno danno prova di essere a loro agio nelle parti con le loro voci interessanti ma in evoluzione. Un plauso incondizionato va alla prova di Alberto Bianchi, un Figaro dal colore giusto, dalla bella morbidezza del fraseggio e dalla voce fermissima. Anche al convincente cantante e bravo attore Alessandro Branchi (Antonio) e soprattutto a quella riuscitissima di Serena Dominici: al netto di qualche intonazione perfettibile, un Cherubino quasi ideale il suo, condotto con eccezionale capacità attoriale e atletica, un autentico concentrato di simpatia, malizia e arte scenica. Esemplare in tal senso la difficilissima scena della vestizione da donna del paggio Cherubino, in cui la Dominici offre un saggio di mimesi femmina/maschio/femmina davvero conturbante.

Come una ciliegina sulla torta di questo felice melange di virtù teatrali e vocali, su tutto e tutti si erge l’enorme esperienza di una veterana della scena qual è il soprano Cinzia Forte (docente del corso specifico), la quale disegna una Contessa pressoché perfetta nella sua vocalità dolente e nostalgica: una prova di gran classe la sua, che getta una luce straordinaria su tutta l’operazione e suscita applausi fragorosi a scena aperta. Alla fine tanti applausi calorosi e insistenti, da parte di un pubblico letteralmente irretito per quattro ore di spettacolo, senza il benché minimo calo di tensione. Insomma, davvero delle bellissime “Nozze senza spine” e una gran festa per tutti.